martedì 24 agosto 2021

Animali e oggetti nella iconografia cristiana antica: simboli o segni?

    

Aquileia

La tartaruga e il gallo, mosaico sul pavimento della Basilica di Aquileia


    Ammirando gli stupendi mosaici del pavimento nella Basilica di Aquileia, siamo colpiti dalla ricchezza e dalla bellezza delle raffigurazioni di animali e oggetti, oltre alle figure umane e a immagini astratte.

Le spiegazioni date dal foglietto illustrativo fornito dalla Basilica ci ricordano la ricca simbologia collegata a queste rappresentazioni e rintracciabile nella letteratura paleocristiana. Ulteriori ricche informazioni possono essere reperite in altre fonti specializzate. 

 La cosa mi incuriosisce molto, alla luce delle mie letture sui testi di Carl Gustav Jung (1875-1961), che sicuramente sono una guida importante per la comprensione dei simboli nell'animo umano.


Carl Gustav Jung

  Scrive Jung (Man and his symbols, postumo, 1964, trad. it. L'uomo e i suoi simboli, p. 20): “Ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale... Perciò una parola o un'immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, 'inconscio', che non è mai definito con precisione e compiutamente spiegato. … Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali”. Jung ci avverte che anche parole e immagini apparentemente prive di significato, qualora “abbiano acquistato un significato riconoscibile attraverso l'uso comune o per un intento convenzionale … non sono simboli. Essi sono segni [signs nell'originale in inglese] e non hanno altro compito che quello di denotare gli oggetti a cui sono riferiti.

In molti altri punti, anche in questa sua opera ultima che in qualche modo vuole essere una sintesi della sua lunga e laboriosa ricerca, durata oltre sessant'anni, Jung insiste sul fatto che il simbolo è esperienza collettiva (e se di origine primordiale lo definisce archetipo), ma inevitabilmente deve essere filtrata dall'esperienza del singolo: “L'individuo è l'unica realtà. Quanto più ci allontaniamo dall'individuo nell'elaborazione di idee astratte sull' 'Homo sapiens', tanto più siamo sottoposti all'errore” (p.58). “Ma poiché tante persone hanno intrapreso a trattare gli archetipi come semplici parti di un sistema meccanico che può essere appreso a memoria, è necessario insistere sul fatto che essi non sono né nomi puri e semplici, né concetti filosofici. Essi appartengono alla vita stessa, sono immagini integralmente connesse con l'individuo vivente per il tramite delle emozioni. Perciò è impossibile dare una interpretazione univoca (o universale) degli archetipi. Essi devono essere spiegati nel modo indicato dall'intera situazione esistenziale dei singoli individui particolari a cui rispettivamente si riferiscono” (p. 96).

Alla luce di questi spunti mi sorge questa riflessione: il simbolismo cristiano, così come è stato codificato dalla tradizione culturale e spirituale della Chiesa (e anche “delle Chiese”, al plurale) è una forma di razionalizzazione, ossia di traduzione razionale, come una sorta di vocabolario enciclopedico che, una volta conosciuto, ci fornisce chiavi di lettura fisse e ineludibili.

Questo per noi rimane necessario, al fine di conoscere l'intenzione originaria degli autori, o almeno per avvicinarsi alla loro finalità educativa.

Tuttavia, da un punto di vista psicoanalitico, di una psicoanalisi che voglia essere sostegno e alimento per la nostra spiritualità, possiamo osservare che un simbolismo razionalizzato perde il suo carattere di simbolismo: in altre parole, il simbolo diventa segno, perché non è più un rapporto diretto tra l'immagine e l'inconscio dell'osservatore, bensì un rapporto mediato dall'interpretazione predisposta, che bisogna conoscere mediante una operazione razionale di lettura, studio, documentazione.

Una spiritualità basata sul simbolo, invece, procede per intuizione e risposta immediata allo stimolo, una risposta non mediata dall'interpretazione razionalistica.

Faccio un esempio pratico. Il primo mosaico che si ammira all'entrata della Basilica di Aquileia raffigura la lotta fra il gallo e la tartaruga. Leggo nel foglietto illustrativo: “Il gallo, annunciatore della luce del nuovo giorno, raffigura Cristo, 'luce del mondo'; la tartaruga, il cui nome greco significa 'abitatore delle tenebre', simboleggia il Maligno. … Questa scena, derivata dall'iconografia pagana relativa al culto di Mitra, è un unicum nell'arte paleocristiana; invita il credente a combattere costantemente il peccato per ottenere il premio della vita eterna.”

La studiosa Anna Pia Giansanti ci chiarisce ulteriormente che la tartaruga può rappresentare anche l'oscurità della materia, l'uomo peccatore, o, più specificamente, l'eresia ariana, mentre il gallo può rappresentare Dio Padre, ma anche Cristo Risorto o ancora la Chiesa da Lui derivata (e che quindi ritiene di dover contrastare le eresie). Ma accanto a queste interpretazioni, tutto sommato analoghe nella sostanza, se ne aggiunge una ulteriore, meno affine: alcuni studiosi infatti ritengono che "il gallo possa simboleggiare il mondo occidentale, caratterizzato da ritmi di vita frenetici e dinamici, ma al tempo stesso fragile e tendente all'aggressività. La tartaruga invece simboleggerebbe l'Oriente saggio, dai ritmi lenti che favoriscono la meditazione e lo sviluppo delle teorie filosofiche. In questo caso la contrapposizione tra i due animali nasconderebbe il desiderio di unire questi due mondi".

E' evidente che tutte queste interpretazioni tendono ad oggettivare, razionalizzandolo, il significato del simbolo. Noi sappiamo che per gli autori antichi lo scopo era esplicitamente educativo, catechetico, e l'uso di immagini non immediatamente esplicite era un retaggio della condizione di persecuzione che era stata patita dalla chiesa primitiva.

Ma, ripensando alle indicazioni di Jung, dobbiamo provare ad instaurare un rapporto più diretto con le immagini, al fine di metterle in relazione immediata con il nostro specifico inconscio e con la nostra spiritualità. Propongo perciò questo esercizio: osserviamo l'immagine prescindendo dalla interpretazione storica data; osserviamola per ciò che essa può trasmetterci a livello immediato.

Personalmente, innanzitutto non ho interiorizzato l'idea razionale che la tartaruga possa essere un tartarouchòs, ossia un abitatore del Tartaro, degli Inferi; così come non ho interiorizzato l'idea che il gallo sia portatore di luce. Piuttosto, vedo nella tartaruga un essere debole, caricato da questo peso che trascina (che potrei interpretare come il peso delle nostre difficoltà, della nostra stessa condizione umana); e nel gallo vedo “il re del pollaio”, con tutto ciò che anche di arrogante e prevaricante potrebbe implicare. Ma anche queste sono ancora interpretazioni razionali, benché filtrate dalla mia esperienza personale.

Cerco perciò di guardare l'immagine prescindendo anche da queste mie impressioni pregresse e basandomi sull'osservazione diretta; cerco perciò di osservare l'immagine spogliandola anche dei significati che io stesso le ho dati. Cerco di porre in relazione diretta l'immagini e le emozioni che provengono dal mio inconscio. Vedo che il gallo è molto più grande della tartaruga, assume una posizione dominante e aggressiva; la tartaruga sembra voler ritrarsi. Osservo i colori sgargianti del gallo contrapposti alla monotonia cromatica della tartaruga. Osservo infine gli sguardi: ambiguo e sfuggente quello del gallo, terrorizzato quello della tartaruga.

Queste sono impressioni immediate, in cui cerco di escludere il filtro razionale; non voglio arrivare a conclusioni razionalizzanti: mi limito a considerare la mia emozione. Mi accorgo che sto vivendo una sorta di identificazione con la tartaruga oppressa, piuttosto che con il gallo oppressore. A questo punto, razionalmente, posso constatare che sono molto lontano dall'idea catechetica che sappiamo essere stata l'intenzione razionale dell'autore.

Tutto questo ovviamente vale solo per me; per un'altra persona le risonanze simboliche possono essere differenti, in modo sfumato e forse affine, oppure in modo molto significativo e contrastante. Ciò che conta è la necessità di un rapporto immediato e diretto di ogni singola persona con l'immagine, affinché essa possa perdere il suo significato riduttivo di segno e possa riacquistare pienamente la sua funzione di simbolo.

Per la mia personale esperienza, la musica si presta ancor maggiormente a questo procedimento, ma questo è un altro discorso.

Conclusione: un approccio psicoanalitico all'immagine “sacra” può condurci ad una interpretazione simbolica affatto diversa da quella accreditata dalla storia e dall'intenzione stessa dell'autore; questa è la polisemia dell'arte, che va molto al di là del riduzionismo razionalista. E, ciò che maggiormente conta, tutto ciò può essere altrettanto e forse più ancora efficace, allo scopo di alimentare la spiritualità del credente, ossia al porlo in relazione con il Trascendente.