venerdì 1 settembre 2023

Una lezione su "Sì, mi chiamano Mimì", da "La Bohème" di Giacomo Puccini

Puccini

Una lezione su "Sì, mi chiamano Mimì", dal primo atto dell'opera "La Bohème" (Torino, 1896)  di Giacomo Puccini (1858-1924), si può ascoltare al link https://youtu.be/hGTC_1_hXgM.

La lezione, che si è svolta al Conservatorio di Mantova il 15 giugno 2023, era rivolta a due studenti cinesi (una cantante e una pianista) e per questo motivo è stato adottato uno stile espositivo particolarmente attento alla difficoltà di comprensione linguistica.

Si tratta di una lezione di Pratica del Repertorio Vocale, quindi non si occupa di problemi di tecnica vocale, ma si concentra sulla comprensione del testo e sull'osservazione dello spartito musicale.

La Bohème

Il breve video si divide in tre parti. Nella prima spiego brevemente il contesto narrativo dell'opera, sottolineando in particolare il fatto che la trama si svolge in epoca contemporanea all'autore e quindi non descrive situazioni mitiche o storiche, bensì rappresenta la quotidianità del vivere di alcuni personaggi e la loro vocazione alla "bohème", ossia ad uno stile di vita tutto orientato alla cura della propria arte, con libertà e dedizione assoluta, anche se con grandi difficoltà economiche. 

Puccini Giacosa Illica
Da sinistra: Puccini, Giacosa, Illica

La seconda parte del video è dedicata alla lettura del testo, di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, con osservazione dei sentimenti che vi sottendono e spiegazione dei termini più difficili (ad esempio "chimere", ossia le fantasticherie dell'immaginazione che non trovano riscontro nella realtà, ma che alimentano la vita degli artisti).

Giacomo Puccini

La terza parte, infine, è dedicata ad una breve analisi musicale, soprattutto dal punto di vista interpretativo: si nota la cura dettagliatissima di Puccini nelle indicazioni dinamiche ed agogiche, che pertanto l'interprete è tenuta a rispettare; e l'importanza della scrittura strumentale (orchestra, e conseguente riduzione per pianoforte), che non si limita all'accompagnamento ma costruisce insieme al canto il discorso musicale ed a volte lo conduce, trascinando nel crescendo emotivo la voce stessa.

Ricordo il link al video: https://youtu.be/hGTC_1_hXgM.

lunedì 10 luglio 2023

Intelligenza artificiale e alienazione

Arrivano i direttori d'orchestra robot. Siamo ben lontani, certamente, dal significato reale di questo lavoro, che è di altissimo livello intellettuale, artistico, spirituale. Ma probabilmente i progettisti credono che questo mestiere consista soltanto nel dare il tempo, e magari gli attacchi, come del resto fanno anche molti giovani direttori attuali, affascinanti forse più dai guadagni e dalla notorietà, che dallo studio tenace, assiduo e severo, quello studio incessante che caratterizzò, a suo tempo, i Bruno Walter, i Bernstein, i Karajan.

Recentemente una autorevole rivista ha pubblicato una notizia analoga e forse ancora più inquietante: in una chiesa cristiana della Germania (non importa di quale confessione) per la prima volta è stata sperimentata la possibilità di una funzione liturgica con predicazione, interamente gestita da una "Intelligenza Artificiale" ("Artificial Intelligence", acronimo AI). In uno schermo posto al centro della chiesa vari avatar (ossia la rappresentazione virtuale di persone umane) hanno intonato canti e preghiere, ed inoltre uno di questi ha predicato sul testo biblico della domenica.

I partecipanti, circa trecento persone, sembra abbiano apprezzato, nonostante la monotonia delle voci, le "espressioni facciali neutre" e l'eloquio a volte troppo veloce. Il 98% della funzione è stato creato dalla macchina e il ricercatore che l'ha ideata ritiene che ciò possa "liberare un po' di tempo e rendere più semplice il lavoro quotidiano".  Ad alcuni partecipanti è sembrato che, oltre alla voce monotona, al predicatore mancassero "cuore ed anima". Possiamo immaginarlo...

L'ideatore del predicatore -robot afferma anche che "l'AI si impadronirà sempre più delle nostre vite".  Ecco, "si impadronirà": verbo significativo, infatti deriva dal sostantivo "padrone", un concetto che ovviamente implica dei "sudditi" e mette in discussione il valore fondamentale della libertà.

Leggendo questa notizia, la prima e più banale osservazione che mi viene di fare riguarda l'economia del tempo che questa trovata produrrebbe nel lavoro pastorale: tutto ciò potrebbe indurci ad una riflessione un po' rozza sulla voglia di lavorare, oppure una più approfondita sul senso della vocazione pastorale, e ancora oltre, sul senso di una vita umana che, definitivamente liberata dalla fatica del lavoro, potrebbe vedersi ridotta ad un dolce far niente, ossia nel consumismo sempre più vorace di ogni prodotto.

Per quanto riguarda i canti, essendo io musicista e docente di musica, so bene quanto siamo lontani ancora da un prodotto informatico soddisfacente, con la tecnologia attuale; ma, al di là di questo, una volta privati dell'emozione di cantare con la nostra gola e di suonare con il nostro corpo, cosa ci rimarrà del nostro rapporto con la musica? Solo una fruizione passiva, presumo e temo.

Per la predicazione, mi pare che questo intervento della AI vada incontro ad un'idea di performance pastorale nella quale già da tempo si confondono la funzione liturgica della predicazione e quella cattedratica della lectio magistralis; ma anche in questo caso, la macchina verrebbe a sostituire quell'elemento di creatività personale che comunque pertiene sia alla predicazione pastorale, sia alla dotta lezione accademica.

Un  pericolo poi molto preoccupante è che la liturgia perda definitivamente il suo carattere di relazione con il Trascendente (che è un bisogno fondamentale di ogni essere umano) e si riduca ad una dimensione di "consumismo ecclesiastico", in tutto analoga ad ogni altra forma di consumismo, da quello alimentare a quello ludico a quello sessuale. 

Immancabile, da parte dei sostenitori entusiasti di questi esperimenti, il riferimento al genio di Galileo e alla persecuzione che la sua opera di ricerca scientifica dovette subire. Ma a me pare, appunto, un equivoco: nell'entusiasmo per il "nuovo" si perde di vista lo scopo per il quale una ricerca scientifica dovrebbe sempre essere condotta. Se intendessimo il "progresso" come valore in se stesso, allora potremmo guardare ad ogni evoluzione tecnologica, qualunque essa sia, come valore. Ma se pensiamo, ad esempio, al "progresso" che dalla fionda ha portato alla bomba atomica, ci è lecito dubitare di questo valore, inteso in modo assoluto ed acritico, e sospettare che non tutto ciò che si perfeziona tecnicamente è utile e benefico per l'umanità. Sappiamo invece quanto l'umanità sia portata ad un uso perverso e malefico anche delle migliori innovazioni.

In tempi recenti abbiamo assistito ad una mitizzazione della scienza, che è assurta quasi ad idolo, oggetto di un culto religioso che, a ben vedere, rappresenta una contraddizione in termini, negando infatti la funzione principale della scienza, che è la ricerca assidua, e che certamente non ha lo scopo di trascendere i valori fondanti dell'umanesimo.

Il robot viene presentato come dotato di una intelligenza tale da essere in grado di "distinguere il bene dal male", il che è particolarmente inquietante, se pensiamo ai rischi di una manipolazione preventiva, secondo la quale il programmatore (diabolico) potrebbe prestabilire cosa effettivamente sia bene e cosa sia male: una tentazione antica quanto l'uomo.

Siamo di fronte ai rischi del "transumanesimo", ossia ad una visione del mondo che sembra voler ormai prescindere dalla presenza umana, può farne a meno, e innanzitutto può fare a meno di ciò che maggiormente qualifica l'umanità, ossia la possibilità di porsi in relazione con il mondo, con la natura, e con i propri simili.

Lo sbocco inevitabile del transumanesimo è l'alienazione, ossia la scissione della persona umana da se stessa, fagocitata da enti superiori che, in ultima analisi, traggono profitto dalla disumanizzazione del mondo, come già avvertivano Marcuse e tutti i sociologi della scuola di Francoforte. E infatti il termine stesso "alienazione" sembra ormai scomparso dal linguaggio corrente, così come scomparsi dal dibattito pubblico tutti coloro che ne hanno avvertito i pericoli e la tragicità, da Marx al citato Marcuse, da Freud a Jung, da Gunther Anders a Erich Fromm.

E quindi la nostra società sta andando rapidamente nella direzione tragicamente prefigurata da George Orwell nel suo capolavoro, "1984", ancora oggi definito "distopico", come quando fu scritto nel 1949, anche se invece sembra quasi che la realtà voglia ora superare la tormentata fantasia dell'autore, che già prevedeva ed ha così ben descritto la catastrofe disumanizzante.

Siamo circondati, soggiogati ed anche sedotti dalle app, dai pass, dagli spid, tutte prove di funzionamento di quel sistema di credito sociale, già ben attivo in alcuni paesi, secondo il quale i diritti fondamentali (quelli ad esempio così esemplarmente esposti dalla Dichiarazione Universale) sono definitivamente sottoposti all'obbedienza a prescrizioni imposte dall'alto, dal Potere economico; e sono imposizioni che possono sembrare giuste e necessarie (ed in alcuni casi forse lo sono) ma che, in un sistema generalizzato, potrebbero anche diventare orrori, come descritto da Orwell nel suo vecchio ed attualissimo romanzo.

Tornando all'esempio del celebrante liturgico, molti, soprattutto nel cristianesimo riformato, sono felici di trovare in questa AI un efficace antidoto contro il "pericolo" della sacralizzazione del rito. Preoccupazione ingenua, considerato che la sacralizzazione è un meccanismo insito nell'inconscio di ogni persona, e quindi pensare di riuscire ad evitare la sacralità del rito significa solo spostare il proprio bisogno di trascendenza su altri oggetti, su altri idoli, inconsapevolmente.

Di fronte a questi scenari, abbiamo il dovere di difendere la nostra umanità, combattere ogni forma di alienazione, da quella storica, sociale, a quella psicologica, fino a queste nuove minacce tecnologiche. Dobbiamo mantenere viva la nostra capacità di costruire relazioni, col mondo, con la natura, con i nostri simili; dobbiamo preservare e coltivare la nostra intelligenza emotiva e la nostra capacità di empatia.

Dobbiamo tornare a capire il valore dei ministeri, nelle chiese: la saggezza dell'anziano, il servizio del diacono, l'intelligenza pregna di umanità e di creatività del predicatore, la passione assidua del ricercatore e dello studioso.

E, se siamo musicisti, dobbiamo preservare il valore di una esecuzione umana su strumenti meccanici, che respirano con il nostro respiro e rispondono sensibilmente al nostro tocco, alla nostra pressione, all'alito del nostro fiato. Dobbiamo salvaguardare la relazione umana, intellettuale ed affettiva, che si instaura tra musicisti che suonano e cantano insieme, ed anche tra i musicisti e un direttore che li guida con mano sapiente, donando alla comunità la sua arte, che è fatta di intelligenza, di cuore, di gesti del proprio corpo. Dobbiamo salvare la dimensione umana della musica, come ci hanno insegnato i grandi di ogni epoca.

Infine, dobbiamo custodire, curare, coltivare la nostra anima, la spiritualità interiore che appartiene ad ogni essere umano, sia esso credente o non credente: perché essa è un bisogno profondo, è costitutiva della nostra natura, è l'essenza più intima e profonda della nostra vita.


mercoledì 14 giugno 2023

La scrittura polifonica nella musica pianistica di Schumann

Schumann
 In questi giorni ho studiato ed eseguito il ciclo di Lieder Frauenliebe und Leben op. 42 (1840) di Robert Schumann (1810-56), uno dei capolavori della produzione vocale da camera del grande compositore tedesco, sommo esponente del Romanticismo musicale

La scrittura pianistica di questi Lieder appare semplice, ma nasconde delle insidie: è un esempio di "finto facile", come amo definirla scherzosamente con i miei allievi.

Trovo importanti analogie con lo Jugendalbum op. 68 (1848), la raccolta di quarantatre pezzi per la gioventù, pensati con un duplice fine didattico: avvicinare i giovani studiosi alla poetica romantica e sviluppare progressivamente le loro capacità di tocco pianistico. 

Riflettendo su quale sia la maggiore difficoltà che si incontra nella musica pianistica apparentemente "facile" di Schumann, ho pensato che essa consista nella continua alternanza di una scrittura accordale con una elaborazione polifonica, che a volte fa addirittura pensare idealmente ad una esecuzione organistica.

Schumann Jugendalbum
Questa trama polifonica è sviluppata, nello Jugendalbum, con una progressività veramente didattica.

Già nel numero 3, Trällerliedchen, notiamo nella mano destra, alle battute 9-16, il prolungamento della durata della voce superiore, che pur inserita nella figurazione in bicordi spezzati affidati alla mano destra, deve emergere con una qualità di tocco cantabile che la distingue dall'accompagnamento:

Schumann Jugendalbum

Nel numero 12, Knecht Ruprecht, lo stesso procedimento appare in forma un po' più complicata, anche perché l'andamento è più veloce:

Schumann Jugendalbum

In Mai, lieber Mai, numero 13, troviamo piccole polifonie e compare per la prima volta il principio dell'imitazione tra le due mani:

Schumann Jugendalbum

In Erster Verlust, numero 16, la mano sinistra utilizza subito un piccolo procedimento polifonico; poi, nella parte centrale, la scrittura procede per imitazione ed è impostata su tre voci:

Schumann Jugendalbum

In Kleiner Morgenwanderer, numero 17, l'esposizione del tema, vigorosamente ritmico, è subito trattata in imitazione:

Schumann Jugendalbum

 In Schnitterliedchen, numero 18, la scrittura della mano destra è costantemente impegnata a due voci:

Schumann Jugendalbum

In Kleine Romanze, numero 19, la melodia è raddoppiata all'ottava e in entrambe le mani troviamo la compresenza di canto e accompagnamento:

Schumann Jugendalbum

Nel pezzo senza titolo numero 21 lo stesso procedimento è affidato prevalentemente alla mano destra, in modo più complesso:

Schumann Jugendalbum

In Rundgesang, numero 22, la scrittura è prevalentemente a quattro voci, anche se con momenti accordali:

Schumann Jugendalbum

Nel pezzo senza titolo numero 26 abbiamo nuovamente canto e accompagnamento nella stessa mano:

Schumann Jugendalbum

Il numero 27 introduce addirittura il procedimento del canone:

Schumann Jugendalbum

Nel numero 30, senza titolo, la scrittura polifonica è usata in modo vario nelle due mani:

Schumann Jugendalbum

Il Thema, numero 34, è a quattro voci:

Schumann Jugendalbum

Nel numero 40 troviamo una piccola fuga (Kleine Fuge), preceduta da un preludio che ricorda lo stile delle Invenzioni di Bach:

Schumann Jugendalbum

E poi ancora, al numero 42, ecco un "corale figurato" (Figurirter Choral), omaggio alla tradizione barocca tedesca, con il tema tratto dal Salterio ginevrino del XVI secolo che, nella sua forma di corale semplice, Schumann aveva già usato nel numero 4 della stessa raccolta, e che qui viene trattato in modo "figurato", ossia inserito in una fitta trama polifonica:

Schumann Jugendalbum

Quindi, una vera e propria progressione didattica, che porta i giovani studenti, alla fine della raccolta, ad avere una piena consapevolezza della scrittura polifonica e delle sue potenzialità a livello di gestione varia e complessa del tocco pianistico, perché ogni voce della trama richiede una sua specifica caratterizzazione sonora.

Schumann Lieder
La stessa concezione, intesa non più in modo didattico, ma unicamente finalizzata all'espressione del testo poetico, la ritroviamo nel ciclo di Lieder Frauenliebe und Leben. 

Già nel primo Lied, Seit ich ihn gesehen, la scrittura accordale si alterna a figurazioni polifoniche, evidentemente derivate da un pensiero organistico, e al tempo stesso funzionale alla miglior resa del legato pianistico:

Schumann Frauenliebe und Leben

Nel secondo Lied, Er, der Herrlichster von allen, troviamo un esempio di polifonia "virtuale": in realtà la scrittura è una semplice melodia accompagnata, ma il continuo mutare di registro della melodia crea l'effetto acustico di una successione di entrate in imitazione; l'esecuzione è abbastanza complessa, anche per la necessità dell'incrocio tra le mani:

Schumann Frauenliebe und Leben

Nello stesso Lied, la coda finale del pianoforte si avvale nuovamente di una scrittura polifonica:

Schumann Frauenliebe und Leben

Nel quarto Lied, Du Ring an meinem Finger, la scrittura della mano destra è polifonica e le ottave nella mano sinistra accentuano la suggestione del suono organistico, perché sembrano evocare il pedale d'organo:

Schumann Frauenliebe und Leben

Infine un ultimo esempio, nelle battute conclusive del settimo Lied, An meinem Herzen, dove il pensiero compositivo di Schumann sembra quasi forzare la naturalezza della esecuzione pianistica:

Schumann Frauenliebe und Leben

In questo caso suggerisco una differente disposizione delle note tra le due mani, che semplifica molto l'esecuzione di questo passaggio, a prima vista un po' macchinoso:

Schumann Frauenliebe und Leben

"Finto facile", dunque, ma estremamente formativo per ogni giovane pianista, oltre ad essere un mondo incantato di bellezza e di ideale artistico che non può non toccare ogni animo sensibile.


giovedì 23 marzo 2023

Edvard Grieg. Ein Traum. Breve analisi musicale

Lieder

Ein Traum 
(En Drøm) op. 48 n. 6
 fu composto da Edvard Grieg nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864.

Nel precedente post ho brevemente descritto il testo poetico, la sua forma letteraria e la traduzione in lingua italiana. Ora analizzo brevemente la composizione musicale di Grieg, soprattutto dal punto di vista formale, con qualche breve indicazione sull'armonia e sulla scrittura strumentale e vocale.

Abbiamo visto che il testo poetico consiste in cinque quartine di novenari a rime alternate. Nella musica, le cinque strofe corrispondono ad una forma musicale A1, A1, B, C, A2. In altre parole, la prima e la seconda strofa sono quasi uguali (con una importante modifica di tessitura nella parte pianistica), e perciò le indichiamo con la stessa sigla A1; la terza è diversa, perciò la indichiamo con B; la quarta ancora diversa, e quindi la indichiamo con C; infine la quinta strofa riprende in modo evidente la struttura di A, però con importanti differenze, perciò la indicheremo con A2. Questo impianto formale assicura all'ascoltatore la percezione di una coerenza interna, sulla quale il compositore opera il suo grande climax espressivo che porta ad un punto culminante proprio nelle ultime battute del pezzo.

Il pezzo, nella tonalità originale di Re bemolle Maggiore (nel repertorio cameristico sono abituali le trasposizioni in base alla tessitura del cantante), consta di 52 battute, in tempo 3/4 e indicazione di movimento Andante.

Possiamo schematizzare la forma del pezzo in questo modo:

  • Una battuta di introduzione del pianoforte, in Re bemolle Maggiore (battuta 1)
  • A1: otto battute in Re bemolle Maggiore (bb. 2-9)
  • Una battuta di interludio del pianoforte (b. 10)
  • A1: otto battute in Re bemolle Maggiore (bb. 11-18)
  • Una battuta di interludio del pianoforte (b. 19)
  • B: otto battute, modulanti da Mi Maggiore a Re, Do, Si bemolle (bb. 20-27)
  • C: dodici battute, modulanti da Re bemolle Maggiore a Sol bemolle Maggiore (bb. 28-39); notare bene la ripetizione della parola nimmermehr (mai più); da questa sezione comincia un grande "stringendo e crescendo", culminante nella sezione successiva
  • A2: dieci battute in Re bemolle Maggiore (bb. 40-49)
  • Tre battute di coda del pianoforte, in Re bemolle Maggiore (bb. 50-52)

L'armonia di Grieg è particolarmente ricercata, nell'uso di accordi alterati e complessi che sono scelti anche per la loro fascinazione timbrica. Ad esempio, proprio nelle prime 6 battute, in Re bemolle Maggiore, troviamo a b. 3 l'accordo sol bemolle - la bequadro (che possiamo interpretare come si doppio bemolle) - re bemolle - fa, ossia una settima sul IV grado con terza abbassata:

Lieder

poi a b. 4 sol bequardo - si bemolle - re bemolle - fa, ossia nuovamente un IV grado con fondamentale alzata:

Lieder
a b. 5 nuovamente l'accordo di b. 3:

Lieder

e infine a b. 6 il ritorno in tonica: si tratta dunque di un movimento cromatico delle parti interne, mentre il basso mantiene saldamente la tonica e la voce superiore del pianoforte mantiene il fa, che potremmo definire un pedale di terza. 

Altro passaggio interessante tra le battute 19 e 20: l'accordo di La bemolle Maggiore di b. 19 conduce direttamente al Mi Maggiore di b. 20; si tratta del procedimento di accostamento di due toni lontani per transizione (cfr. Piston, Armonia,  cap. 14, p. 229: "Un tipo di transizione abbastanza comune nel diciannovesimo secolo è lo spostamento cromatico, da una tonalità ad un'altra, un semitono più in alto"); in questo caso, dopo la tonica di La bemolle, ci potremmo aspettare un I di Mi bemolle (V di La bem.) e invece a sorpresa troviamo il I di Mi Maggiore, ossia un semitono sopra:

Lieder

Segue una lunga progressione cromatica discendente, che tocca Re Maggiore, Do Maggiore, Si bemolle Maggiore, per poi arrivare (b. 28) alla dominante del tono base di Re bemolle. 

A questo punto, pur con varianti armoniche, notiamo la ripresa di A, come detto, nella quale l'aspetto musicale più importante è il poco a poco stringendo e crescendo che rappresenta il climax, davvero carico di sensualità, del pezzo. 

Notevole, a sostegno dell'acuto culminante del canto a b. 47, l'uso dell'accordo di V con la tredicesima. ossia la bemolle - do - mi bemolle - sol bemolle - fa:

Lieder

Sono interessanti anche alcuni aspetti di scrittura strumentale e vocale: ad esempio, abbiamo visto che le battute 11-18 sono sostanzialmente una ripetizione delle battute 2-9, e perciò abbiamo dato la stessa sigla A1; tuttavia la ripetizione non è uguale, perché la tessitura del pianoforte è spostata un'ottava sopra.

Una figurazione caratteristica nei brevi interludi del pianoforte, alle battute 10 e 19, richiama gli stilemi della musica popolare, assai cara al nostro autore:

Lieder


Infine, un dettaglio piccolo ma significativo: a b. 3, l'edizione ci mostra un asterisco sul la bequadro del canto, che rimanda ad una nota in calce, nella quale è scritto sehr weich, ossia molto morbido (o anche tenero); è strano che non l'abbia indicato sul rigo musicale, sembra quasi una puntualizzazione marginale o posteriore, ma esprime un aspetto espressivo importante: le prime frasi sono dolcissime, poi già nella ripetizione di A1 il cambio del tessitura al pianoforte impone anche al cantante un cambio di carattere, una sorta di preparazione al climax successivo. Ma qui siamo già nell'ambito dell'interpretazione, per la quale rimando ad un breve post successivo.


sabato 18 marzo 2023

Edvard Grieg, Ein Traum. Il testo di Bodenstedt

 Ein Traum (En Drøm) op. 48 n. 6 è un Lied composto da Edvard Grieg nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864. Nella edizione di Grieg appaiono sia il testo originale tedesco, sia la traduzione in norvegese, curata da Johan Nordahl Brun Rolfsen.

Si tratta dell'ultimo di un ciclo di sei Lieder. Evoca un sogno d'amore che si realizza felicemente anche nella realtà.

Vorrei presentare questa bella composizione in modo molto didattico. In questo post analizzo il testo poetico.

Friedrich von Bodenstedt
Friedrich von Bodenstedt (1819-92) fu uno scrittore poliglotta e viaggiatore, conobbe la Russia, la Persia e l'America, con la volontà di approfondire la conoscenza delle culture di questi paesi, a partire dalla lingua.

In questa poesia aderisce ad un tema tipico della letteratura romantica tedesca, il rapporto tra sogno e realtà, qui risolto in termini positivi, senza indulgere ad elementi di malinconia nostalgica. 

La ripetizione di alcuni versi esprime un carattere popolaresco.

La poesia è costituita da cinque quartine di novenari in rima alternata.

Ecco il testo della poesia, con mia traduzione a fronte:

Procedo ora ad una traduzione parola per parola, ossia farò una traduzione letterale che ci permetta di cogliere la collocazione grammaticale e sintattica, ma anche il significato specifico di ogni parola, cosa assolutamente necessaria per il cantante, anche qualora non fosse di madrelingua tedesca. 




Nel prossimo post spiegherò come il compositore utilizza questa forma poetica, vestendola con una forma musicale.