giovedì 23 marzo 2023

Edvard Grieg. Ein Traum. Breve analisi musicale

Lieder

Ein Traum 
(En Drøm) op. 48 n. 6
 fu composto da Edvard Grieg nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864.

Nel precedente post ho brevemente descritto il testo poetico, la sua forma letteraria e la traduzione in lingua italiana. Ora analizzo brevemente la composizione musicale di Grieg, soprattutto dal punto di vista formale, con qualche breve indicazione sull'armonia e sulla scrittura strumentale e vocale.

Abbiamo visto che il testo poetico consiste in cinque quartine di novenari a rime alternate. Nella musica, le cinque strofe corrispondono ad una forma musicale A1, A1, B, C, A2. In altre parole, la prima e la seconda strofa sono quasi uguali (con una importante modifica di tessitura nella parte pianistica), e perciò le indichiamo con la stessa sigla A1; la terza è diversa, perciò la indichiamo con B; la quarta ancora diversa, e quindi la indichiamo con C; infine la quinta strofa riprende in modo evidente la struttura di A, però con importanti differenze, perciò la indicheremo con A2. Questo impianto formale assicura all'ascoltatore la percezione di una coerenza interna, sulla quale il compositore opera il suo grande climax espressivo che porta ad un punto culminante proprio nelle ultime battute del pezzo.

Il pezzo, nella tonalità originale di Re bemolle Maggiore (nel repertorio cameristico sono abituali le trasposizioni in base alla tessitura del cantante), consta di 52 battute, in tempo 3/4 e indicazione di movimento Andante.

Possiamo schematizzare la forma del pezzo in questo modo:

  • Una battuta di introduzione del pianoforte, in Re bemolle Maggiore (battuta 1)
  • A1: otto battute in Re bemolle Maggiore (bb. 2-9)
  • Una battuta di interludio del pianoforte (b. 10)
  • A1: otto battute in Re bemolle Maggiore (bb. 11-18)
  • Una battuta di interludio del pianoforte (b. 19)
  • B: otto battute, modulanti da Mi Maggiore a Re, Do, Si bemolle (bb. 20-27)
  • C: dodici battute, modulanti da Re bemolle Maggiore a Sol bemolle Maggiore (bb. 28-39); notare bene la ripetizione della parola nimmermehr (mai più); da questa sezione comincia un grande "stringendo e crescendo", culminante nella sezione successiva
  • A2: dieci battute in Re bemolle Maggiore (bb. 40-49)
  • Tre battute di coda del pianoforte, in Re bemolle Maggiore (bb. 50-52)

L'armonia di Grieg è particolarmente ricercata, nell'uso di accordi alterati e complessi che sono scelti anche per la loro fascinazione timbrica. Ad esempio, proprio nelle prime 6 battute, in Re bemolle Maggiore, troviamo a b. 3 l'accordo sol bemolle - la bequadro (che possiamo interpretare come si doppio bemolle) - re bemolle - fa, ossia una settima sul IV grado con terza abbassata:

Lieder

poi a b. 4 sol bequardo - si bemolle - re bemolle - fa, ossia nuovamente un IV grado con fondamentale alzata:

Lieder
a b. 5 nuovamente l'accordo di b. 3:

Lieder

e infine a b. 6 il ritorno in tonica: si tratta dunque di un movimento cromatico delle parti interne, mentre il basso mantiene saldamente la tonica e la voce superiore del pianoforte mantiene il fa, che potremmo definire un pedale di terza. 

Altro passaggio interessante tra le battute 19 e 20: l'accordo di La bemolle Maggiore di b. 19 conduce direttamente al Mi Maggiore di b. 20; si tratta del procedimento di accostamento di due toni lontani per transizione (cfr. Piston, Armonia,  cap. 14, p. 229: "Un tipo di transizione abbastanza comune nel diciannovesimo secolo è lo spostamento cromatico, da una tonalità ad un'altra, un semitono più in alto"); in questo caso, dopo la tonica di La bemolle, ci potremmo aspettare un I di Mi bemolle (V di La bem.) e invece a sorpresa troviamo il I di Mi Maggiore, ossia un semitono sopra:

Lieder

Segue una lunga progressione cromatica discendente, che tocca Re Maggiore, Do Maggiore, Si bemolle Maggiore, per poi arrivare (b. 28) alla dominante del tono base di Re bemolle. 

A questo punto, pur con varianti armoniche, notiamo la ripresa di A, come detto, nella quale l'aspetto musicale più importante è il poco a poco stringendo e crescendo che rappresenta il climax, davvero carico di sensualità, del pezzo. 

Notevole, a sostegno dell'acuto culminante del canto a b. 47, l'uso dell'accordo di V con la tredicesima. ossia la bemolle - do - mi bemolle - sol bemolle - fa:

Lieder

Sono interessanti anche alcuni aspetti di scrittura strumentale e vocale: ad esempio, abbiamo visto che le battute 11-18 sono sostanzialmente una ripetizione delle battute 2-9, e perciò abbiamo dato la stessa sigla A1; tuttavia la ripetizione non è uguale, perché la tessitura del pianoforte è spostata un'ottava sopra.

Una figurazione caratteristica nei brevi interludi del pianoforte, alle battute 10 e 19, richiama gli stilemi della musica popolare, assai cara al nostro autore:

Lieder


Infine, un dettaglio piccolo ma significativo: a b. 3, l'edizione ci mostra un asterisco sul la bequadro del canto, che rimanda ad una nota in calce, nella quale è scritto sehr weich, ossia molto morbido (o anche tenero); è strano che non l'abbia indicato sul rigo musicale, sembra quasi una puntualizzazione marginale o posteriore, ma esprime un aspetto espressivo importante: le prime frasi sono dolcissime, poi già nella ripetizione di A1 il cambio del tessitura al pianoforte impone anche al cantante un cambio di carattere, una sorta di preparazione al climax successivo. Ma qui siamo già nell'ambito dell'interpretazione, per la quale rimando ad un breve post successivo.


sabato 18 marzo 2023

Edvard Grieg, Ein Traum. Il testo di Bodenstedt

 Ein Traum (En Drøm) op. 48 n. 6 è un Lied composto da Edvard Grieg nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864. Nella edizione di Grieg appaiono sia il testo originale tedesco, sia la traduzione in norvegese, curata da Johan Nordahl Brun Rolfsen.

Si tratta dell'ultimo di un ciclo di sei Lieder. Evoca un sogno d'amore che si realizza felicemente anche nella realtà.

Vorrei presentare questa bella composizione in modo molto didattico. In questo post analizzo il testo poetico.

Friedrich von Bodenstedt
Friedrich von Bodenstedt (1819-92) fu uno scrittore poliglotta e viaggiatore, conobbe la Russia, la Persia e l'America, con la volontà di approfondire la conoscenza delle culture di questi paesi, a partire dalla lingua.

In questa poesia aderisce ad un tema tipico della letteratura romantica tedesca, il rapporto tra sogno e realtà, qui risolto in termini positivi, senza indulgere ad elementi di malinconia nostalgica. 

La ripetizione di alcuni versi esprime un carattere popolaresco.

La poesia è costituita da cinque quartine di novenari in rima alternata.

Ecco il testo della poesia, con mia traduzione a fronte:

Procedo ora ad una traduzione parola per parola, ossia farò una traduzione letterale che ci permetta di cogliere la collocazione grammaticale e sintattica, ma anche il significato specifico di ogni parola, cosa assolutamente necessaria per il cantante, anche qualora non fosse di madrelingua tedesca. 




Nel prossimo post spiegherò come il compositore utilizza questa forma poetica, vestendola con una forma musicale.

mercoledì 15 marzo 2023

Un sogno di Edvard Grieg

 

Grieg
Edvard Grieg
Nella ampia produzione musicale di Edvard Grieg (1843-1907), il maggiore compositore norvegese dell'Ottocento, uno spazio significativo è dato dalla produzione di Lieder.

Ein Traum (En Drøm) op. 48 n. 6 fu composto nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864. Nella edizione di Grieg appaiono sia il testo originale tedesco, sia la traduzione in norvegese, curata da Johan Nordahl Brun Rolfsen.

Si tratta dell'ultimo di un ciclo di sei Lieder. Evoca un sogno d'amore che si realizza felicemente anche nella realtà.

Vorrei presentare questa bella composizione in modo molto didattico, realizzando tre prossimi post brevi. 

Nel primo tradurrò il testo tedesco parola per parola, ossia farò una traduzione letterale che ci permetta di cogliere la collocazione grammaticale e sintattica, ma anche il significato specifico di ogni parola, cosa assolutamente necessaria per il cantante, anche qualora non fosse di madrelingua tedesca. 

Nel successivo post farò una breve analisi musicale, partendo da una sintesi della forma del pezzo e addentrandomi in alcuni brevi dettagli.

Infine, nell'ultimo post commenterò alcune esecuzioni che troviamo online, perché il confronto tra la pagina scritta e le esecuzioni storiche può essere una buona occasione di approfondimento della conoscenza del pezzo: non necessariamente per "imitare", ma per acquisire una sempre maggiore competenza di ascolto critico. 

Per cominciare, possiamo ascoltare la grande Kirsten Flagstad con il pianista Edwin McArthur.

Ottima interpretazione, più recente, anche da parte del soprano Marcela Wierbicka-Opalinska con il pianista Adam Rogala.




sabato 11 marzo 2023

Ha senso demitizzare il mito?

Bernini
In questi giorni, per l'ennesima volta, volendo ascoltare e guardare uno spettacolo lirico, mi sono imbattuto in una tipica produzione di moda in questo nostro tempo inquieto e travagliato. Si tratta di produzioni che spesso possiamo ammirare dal punto di vista musicale, con ottimi direttori, ottimi strumentisti ed ottimi cantanti, ma che si inseriscono nel filone delle regie d'opera "attualizzanti", che ormai sono la regola nella consuetudine odierna. Gli dei dell'Olimpo in giacca e cravatta, o quelli del Walhalla in costume da spiaggia, sono ormai talmente ricorrenti da produrre persino fenomeni di imitazione. I water in scena sono ormai un luogo comune, così come le berline anni Trenta.

Un ballo in maschera
Per scelta evito di citare i nomi e i fatti che non apprezzo. Faccio un'unica parziale eccezione, perché esemplare del fenomeno che intendo criticare, ed è esemplare perché quasi paradossale nella sua cruda volgarità: si tratta dell'allestimento di Un ballo in maschera (uno dei capolavori della maturità di Giuseppe Verdi) che fu realizzato alcuni anni fa in un importante teatro spagnolo. La didascalia del libretto di Antonio Somma dice: "Una sala nella casa del governatore. In fondo l'ingresso delle sue stanze... E' il mattino. Deputati, Gentiluomini, Popolani, Uffiziali, sul dinanzi Samuel, Tom e loro aderenti, tutti in attesa di Riccardo.". Il coro di Uffiziali e Gentiluomini canta queste parole: "Posa in pace, a' bei sogni ristora, o Riccardo, il tuo nobile cor. A te scudo su questa dimora sta d'un vergine mondo l'amor". Risulta chiaro, dallo sviluppo della vicenda, che si tratta di un testo ipocrita, quella ipocrisia che è tipica di chi adula il Potere e al tempo stesso ne prepara di nascosto la caduta. Infatti alcuni congiurati stanno tramando contro il governatore Conte Riccardo: non c'è nulla di vergine, non si tratta certo di amore nelle intenzioni cospirative e nell'adulazione. Il regista ha avuto l'idea di rappresentare tutto ciò raffigurando, all'apertura del sipario, una fila di sanitari nella quale gli uomini sono seduti, a braghe calate, in attesa di espellere le funzioni naturali corporali. Evidentemente, ha voluto rappresentare in questo modo l'ipocrisia e la congiura nascosta, rappresentandole con quanto di più basso e volgare sia dato immaginare nella concretezza della nostra vita terrena. Infatti, nel gergo popolare, si usa anche dire che stare seduti sul water sia "la seduta sul trono": un detto che ben esprime, con ironia, il rapporto di corrispondenza tra la presunzione di altezza regale e la bassezza dei sentimenti che spesso vi si accompagna. Ma il punto è questo: occorreva un'immagine così rozza e così didascalica? La visione di uomini ben vestiti, in costumi d'epoca e in posa falsamente ipocrita, unita alla forza della musica di Verdi (musica altamente rappresentativa e simbolica, per sua natura) non sarebbe stata sufficiente, e sicuramente più efficace, per evocare il senso profondo della vicenda? Dunque, la crudezza di questo tipo di rappresentazione esprime una doppia sfiducia: nel pubblico, e nella forza dell'arte.

Preciso subito che non sono contrario a priori ad una lettura moderna e innovativa dell'opera. Se volessi banalizzare il tema, chiudendomi in un acritico rifiuto, potrei fermare il discorso dicendo semplicemente che lo stesso rispetto che, ancora oggi, i direttori d'orchestra e i musicisti dimostrano nei confronti della partitura dovrebbe essere analogamente esercitato dai registi nei confronti del libretto. Tuttavia riconosco che alcune soluzioni innovative sono efficaci e funzionali alla piena fruibilità e comprensione dell'opera.  Ma, avendo assistito ormai spesso a spettacoli di questo tipo, mi sembra di aver individuato alcune costanti che cercherò qui di descrivere brevemente, e che possiamo riassumere nella volontà preconcetta di demitizzare il mito

Siracusa
Per mito intendiamo non solo la narrazione di eventi legati alla mitologia classica, in particolare greco-romana, ma più in generale ogni rappresentazione che, spostando gli eventi dal tempo presente ad un tempo passato, sia esso storico oppure favolistico o esplicitamente mitologico, intenda distaccare l'attenzione razionale dal vissuto quotidiano ed immergere l'ascoltatore/spettatore in una dimensione diversa, apparentemente estranea alla sua esperienza concreta. Cercherò di dimostrare che proprio in questa "apparenza" di estraneità consiste l'equivoco. 

Mandala
Mito è qualsiasi storia che, proprio per il fatto di essere distante alla nostra esperienza concreta, assume un significato più ampio, più alto e più profondo, che comprende ANCHE  la nostra esperienza concreta e al tempo stesso la trascende, e quindi, in questo comprendere e trascendere, ci dà la possibilità di cogliere il senso più profondo delle cose, evitando il rischio di una parzialità riduttiva. In sintesi, il mito ci permette una comprensione più profonda, più completa e più autentica della realtà che viviamo concretamente.

Mi pare che la preoccupazione maggiore dei registi contemporanei sia invece il bisogno di attualizzare le narrazioni, per far capire al pubblico che ciò che l'opera storica evocava "miticamente" può essere facilmente ricondotto alla nostra esperienza concreta e quotidiana. In questa operazione troviamo due temi dominanti: quello sessuale e quello politico. La tematica sessuale potrebbe sembrare una interpretazione freudiana delle storie, ma a me pare che sia una riduzione della psicoanalisi a clichés di maniera: un'operazione di semplificazione e banalizzazione, che è ben lontana dagli assunti profondi della scienza psicoanalitica, come spiegherò più avanti. Analogamente, anche il tema politico mi sembra ridotto a clichés convenzionali e molto ripetitivi, oltre al pericolo di una lettura fortemente ideologica, ossia parziale, dei fenomeni.

Contesto dunque questa scelta di attualizzazione per tre motivi: perché è didascalica, perché è razionalista, e perché è ideologica.

Innanzitutto, è una scelta didascalica: è come se il pubblico avesse sempre bisogno di una spiegazione, di una chiave di lettura, nella sfiducia totale delle capacità comunicative dell'opera originale. Il pubblico non può capire, e perciò io, regista, glielo spiego. Un atto di presunzione che di fatto rappresenta un atto di sfiducia nei confronti del pubblico, oltre che dell'opera stessa. La scelta didascalica violenta la natura evocativa dell'opera d'arte, il suo potere di richiamare alla mente una molteplicità di nessi e di situazioni, consce ed inconsce. Didascalico è sbagliato anche perché è una interpretazione parziale, che umilia e nasconde la polisemia dell'opera d'arte, ossia la sua capacità di esprimere una molteplicità di significati non riducibile ad una lettura univoca.

Inoltre, l'attualizzazione è una scelta razionalista, che ignora l'esistenza dell'inconscio e riduce tutto ad una comprensione razionale delle cose. L'inconscio è violentato dalla prepotenza della ragione, come se essa fosse in grado di capire tutto, cosa che la psicoanalisi ha dimostrato non essere vera.

Infine, l'attualizzazione è una scelta ideologica. Questa scelta è conseguenza della parzialità dell'interpretazione: la parzialità mette in evidenza soltanto ciò che ideologicamente si vuole sottolineare. Cosa significa ideologico? L'ideologia è un apparato di idee razionali che è funzionale ad uno spostamento del potere economico da un soggetto ad un altro; in altre parole l'ideologia serve a soddisfare i bisogni più materiali, a cominciare dal bisogno (patologico) di Potere. Se io ideologizzo un oggetto, gli tolgo la sua valenza simbolica

Cinque Buddha
La simbologia invece è una comunicazione che elude le idee razionali e raggiunge in modo immediato e, almeno in parte, inconscio la profondità dell'animo umano, cioè quel nucleo che sta al di là della soddisfazione materiale, sta più in alto rispetto ai bisogni più bassi, sta più in profondità nell'intimo della persona. Ciò che alla mente razionale appare estraneo, desueto, anacronistico, si comunica invece in modo estremamente diretto ed efficace nel nostro inconscio.

La spiritualità, ad esempio, e quindi anche la teologia, deve essere necessariamente simbolica e non ideologica: sappiamo quanto la riduzione della spiritualità ad ideologia abbia tragicamente prodotto nella storia dell'umanità: la "religione", attualizzata e ideologizzata, è divenuta strumento di oppressione e di morte, tradendo la sua più profonda natura.

Carl Gustav Jung
Concludo citando Jung, che nella sua opera ultima riassume molto bene ciò che ho inteso dimostrare in questo post. 

"I miti risalgono ad un narratore primitivo ed ai suoi sogni, a uomini mossi dallo stimolo appassionato delle loro fantasie. Costoro non si differenziavano gran che da coloro che dopo molte generazioni sono stati chiamati poeti o filosofi. I narratori primitivi non si preoccupavano di conoscere l'origine delle loro fantasie; fu solo in epoche molto posteriori che ci si cominciò a chiedere da dove i racconti avessero avuto origine... Il sogno è un fenomeno normale e naturale e non significa ciò che esso non è... La confusione nasce solo per il fatto che i contenuti del sogno sono simbolici e possiedono perciò più di un significato. I simboli sono orientati in direzioni differenti da quelle che noi riusciamo a ravvisare con la mente conscia e perciò si riferiscono a qualcosa di inconscio o almeno di non completamente conscio" (C. G. Jung, Introduzione all'inconscio, in L'uomo e i suoi simboli, 1959-60, edito postumo nel 1964, trad.it. Milano, Raffaello Cortina, 1983).

venerdì 3 marzo 2023

La musica classica, ormai, non la segue più nessuno?

 Nell'epoca di Internet e dei social networks ogni persona può esprimere liberamente con un post o un commento il proprio personale punto di vista. Ciò è molto bello (la libertà di ognuno di potersi esprimere liberamente) e presenta ovviamente l'altra faccia della medaglia: si legge di tutto e a volte i "punti di vista" sono molto opinabili.

Recentemente mi è capitato di leggere un commento che più o meno suonava così: "La musica classica, ormai, non la segue più nessuno".

Beethoven
Beethoven

Innanzitutto potremmo intrattenerci a lungo sull'aggettivo "classica", che è stato dibattuto per anni e anni (esiste anche un bel video del giovane Bernstein sull'argomento) e vorrei chiarire che questo aggettivo è insoddisfacente, dice qualcosa ma non abbastanza. Forse potrebbe essere soddisfacente se dessimo alla parola uno dei suoi significati pregnanti, ossia (secondo il vocabolario Treccani online): "perfetto, eccellente, tale da poter servire come modello di un genere, di un gusto, di una maniera artistica, che forma quindi una tradizione o è legato a quella che generalmente viene considerata la tradizione migliore". Può andare bene? A me pare un'ottima definizione a livello teorico, ma il punto è: chi stabilisce cosa è perfetto, eccellente, quale può essere la tradizione migliore? In realtà, ognuno ha la sua risposta e quindi tale definizione è insoddisfacente. 

Se andiamo sul portale della SIAE, ci viene indicato il genere "serio" come alternativo al jazz o al pop, ma evidentemente questa definizione ci fa sorridere.

Forse potrebbe essere più neutro un aggettivo legato alla storicità della musica, quindi musica "storica", ossia del passato, contrapposta a quella del presente: ma in questo caso si perde la distinzione tra musica di valore e musica scadente, perché entrambe, se appartengono al passato, possono definirsi "storiche".

E nemmeno ci può andare bene un concetto di musica "complessa", contrapposto a "semplice", perché anche questo è trasversale ai generi e alle epoche storiche.

Lasciamo dunque stare gli aggettivi qualificativi e, tornando al commento del frequentatore di social citato sopra, soffermiamoci un attimo sul carattere apodittico della sua affermazione: egli è sicuro, certo, che la musica classica, "ormai", non la segua più nessuno. Apodittico, sempre secondo Treccani, è il tono di una "persona che parla, giudica o argomenta in tono dogmatico, dando alle sue parole un carattere di validità assoluta". Questi moderni strumenti di comunicazione, anziché favorire il dialogo e lo scambio rispettoso di opinioni, hanno alimentato la tendenza alle affermazioni apodittiche: siamo tutti professori di Dogmatica, ovviamente prendendo riferimento dagli influencer, ossia da quei personaggi senza curriculum, che con grande abilità hanno imparato ad utilizzare questi strumenti attuali per imporsi nella società, basando appunto la loro comunicazione sulla perentorietà delle affermazioni, senza lasciare spazio al dialogo, al confronto, all'analisi critica. Ne abbiamo visti esempi molto evidenti anche nell'ultima edizione del maggiore evento massmediatico italiano. Oppure pensiamo al modello pessimo dei talk show televisivi, dove ognuno urla la propria verità e nessuno ascolta l'opinione dell'interlocutore.

Socrate
Socrate

Socrate
non è più di moda. Sembra non avere più valore il suo metodo fondamentale, ossia porre domande, anziché confezionare risposte. Porre domande innanzitutto a se stessi, e poi ai propri interlocutori: questo dovrebbe essere l''unico metodo efficace per avvicinarsi alla verità, pur nella certezza di non poterla mai possedere interamente. La società contemporanea, al tempo dei social networks, ignora Socrate e predilige il modello dogmatico. La cosa mi spaventa molto, perché conduce direttamente all'autoritarismo e ai regimi totalitari, anche se abilmente mascherati con la parvenza del buonismo e della preoccupazione per il bene comune. 

Auden
W.H.Auden

"Il male senza voce prese a prestito il linguaggio del bene e lo ridusse a mero rumore", scrisse il poeta Wystan Hugh Auden (1907-1973). 

Aragon
Louis Aragon

E Louis Aragon (1897-1982): "Conosco molte persone che sono nate con la verità in tasca, che non si sono mai sbagliate ... Costoro sanno cosa è il Bene, l'han sempre saputo. Verso il prossimo mostrano la severità e il disprezzo che provengono dalla assoluta certezza di avere sempre ragione. Io non sono così ... Ciò che ho imparato mi è costato caro, ciò che so l'ho acquisito a mie spese. Non posseggo una sola certezza che non mi sia costata dubbi, angoscia, sudore, dolorose esperienze. Per questo ho rispetto per coloro che non sanno, che cercano, che brancolano, che urtano dappertutto. Mentre per coloro la cui ricerca della verità è stata facile provo ... poco interesse. Quando morranno, che si scriva sulla loro tomba: 'Ha avuto sempre ragione', che è appunto quanto meritano, e niente di più" (fonte: www.rodoni.ch/A20/)

Concludendo: cosa rispondere al Dogmatico che ha sentenziato "La musica classica, ormai, non la segue più nessuno"?

Per nostra fortuna, non è vero. Il problema si può risolvere con un percorso efficace di educazione all'ascolto. La bella notizia è che si può imparare ad ascoltare Josquin, o Monteverdi, o Bela Bartok! Ci vogliono una buona guida, impegno e motivazione, ossia gli ingredienti di una buona educazione critica e non dogmatica. Ma con questi ingredienti si può arrivare ad apprezzare la bellezza e la profondità di un messaggio artistico che trascende il contesto storico che l'ha prodotto, sia esso vicino o lontano nel tempo. 

E allora ci si accorgerà che Beethoven ha ancora qualcosa da insegnare alla società di oggi, così come Goethe, Shakespeare, Omero: senza bisogno di ritocchi, cancellazioni o attualizzazioni. Solo imparando l'arte dell'ascolto musicale, che, come diceva Claudio Abbado, ci insegna anche ad ascoltare gli altri e quindi ad essere meno dogmatici nelle nostre affermazioni.

sabato 28 gennaio 2023

Treemonisha, il capolavoro di Scott Joplin

Ragtime

Il texano Scott Joplin (1867 o 68 - 1917) è universalmente noto come compositore di ragtime, quella celebre forma di musica sincopata (rag significa straccio, ma anche chiasso, baccano) che prelude alle origini del jazz. Brani come Maple Leaf Rag (Il rag della foglia d'acero, 1899) e The Entertainer (L'intrattenitore, 1902) sono popolarissimi fin dall'epoca della loro creazione, e dopo il successo del film The Sting (La stangata, 1973, di George Roy Hill) sono entrati stabilmente nella memoria musicale collettiva.

Ma il compositore ambiva ad andare oltre lo stereotipo di autore di musica d'intrattenimento e, forte di studi musicali molto rigorosi, cercò fortuna nel genere operistico. Nacque così Treemonisha, opera sfortunata a causa del rifiuto degli editori, e recuperata solo oltre mezzo secolo dopo la prematura morte dell'autore, grazie agli studi di Vera Brodsky Lawrence; la prima rappresentazione del 1972 fu diretta ad Atlanta da Robert Shaw. Un restauro che è consistito anche nella nuova strumentazione della partitura, di cui era rimasto solo lo spartito per canto e pianoforte.

Eppure oggi quest'opera deliziosa ci appare molto importante, sia per la qualità della sua musica, che per la collocazione storica, alle origini di un repertorio di teatro musicale tipicamente nordamericano, che troverà poi grandi esempi successivi con Gershwin e con Bernstein

Non solo: l'opera ha un grande significato etico e civile. Sembra quasi una fiaba, con il suo rappresentare un mondo di "buoni" contrapposto ai "cattivi", questi ultimi peraltro caratterizzati dalla pratica della stregoneria e tuttavia spaventati da un finto diavolo; e sembra una fiaba per il catartico lieto fine; non a caso il regista Frank Corsaro la definì "un Flauto Magico in stile americano".

Ma in realtà il racconto ha un significato profondo, come del resto ogni fiaba: esso esprime la speranza di riscatto sociale e politico dei neri d'America, oppressi da secoli di discriminazioni e violenze, ma illuminati da autentica fede religiosa e dalla comprensione della necessità di una emancipazione culturale che permetta loro di reagire all'oppressione e alla sottomissione.

Afroamericani
La vicenda si immagina in una piantagione del Sud degli States, in Arkansas, nella penultima decade del XIX secolo. Nell'introduzione allo spartito, Joplin rievoca le condizioni di vita dei neri in quell'epoca e in quel contesto: l'ignoranza e la superstizione favorivano nuove oppressioni da parte dei bianchi, nonostante la recente abolizione della schiavitù. In questa situazione l'Autore inserisce la storia di Ned e Monisha, che, consapevoli del problema, desiderano educare la loro figlia adottiva, Treemonisha, affinché possa guidare la comunità a crescere e migliorare la propria condizione.

Un personaggio significativo del racconto è Parson Alltake, un predicatore che richiama alla necessità di fare il bene, convertirsi  mediante il ravvedimento e la ricerca continua della verità; e al quale il Coro risponde affermativamente, secondo la prassi antica del responsorio.

Ma di fronte ad una applicazione rigida di princìpi, peraltro giusti nella loro enunciazione ("Wrong is never right, That is very true, Wrong is never right, And wrong you should not do", ossia: "il male non è mai giusto, questo è molto vero, il male non è mai giusto, e non dovresti fare il male"), Treemonisha va ancora oltre, affermando la necessità del perdono: "Do not abuse them. They will be good, they will be good.... Will all of you forgive these men for my sake? ... Let us now shake hands with these men.", ossia: "Non abusarne. Saranno buoni, saranno buoni ... Perdonerete tutti questi uomini per amor mio? ... Stringiamo ora la mano a questi uomini."

Non solo: il vero obiettivo, per il quale lei stessa, giovane e donna, viene scelta come leader della comunità, è combattere l'ignoranza e la superstizione: "For ignorance is criminal In this enlightened day. So let us all get busy, When once we have found the way", ossia "Perché l'ignoranza è criminale in questo giorno illuminato. Quindi diamoci tutti da fare, quando abbiamo trovato la strada". Combattere l'ignoranza è la strada giusta per combattere l'oppressione e la sottomissione.

Scott Joplin
La musica di Joplin accoglie elementi dello stile caro al compositore, in particolare l'amato ragtime e più in generale il sincopato e alcuni tratti melodici ed armonici desunti dalla tradizione afroamericana; ma li inserisce in una concezione teatrale coerente con i modelli dell'opera europea, avvalendosi di forme chiuse elaborate e di una linea di canto di chiara ascendenza classica, in alcune arie di grande impegno vocale e nella scrittura raffinata delle pagine per il Coro, culminanti nel grande pezzo numero 26, We will trust you as our leader. 

Il pezzo finale dell'opera (A real slow drag, ossia Un vero lento trascinamento) è un omaggio affettuoso al fascino seducente e aggregante del ragtime; e il compositore si preoccupa di indicare con precisione, nella didascalia dello spartito che ci è conservata, tutti i movimenti scenici; il fine è "Marching onward, Marching to that lovely tune", "Marciare avanti, su questa bella melodia": la musica e la danza diventano dunque metafora di un cammino di crescita e di riscatto.

Delizioso il celebre allestimento della Houston Grand Opera, del 1976, che si può ammirare in una ripresa del 1981 su Youtube a questo indirizzo, e che si avvale di una compagnia di canto di ottimo livello, nella quale si distinguono Carmen Balthrop, la protagonista, Delores Ivory nella parte della madre Monisha, Obba Babatundè (Zodzetrick), Curtis Rayam (Remus) e Dorceal Duckens (Ned, il padre). L'orchestra è diretta da John DeMain, la regia è di Frank Corsaro. Gunther Schuller è l'autore della orchestrazione.

Scott Joplin



lunedì 23 gennaio 2023

Alla tomba di Stravinskij

Stravinskij al Cimitero di San Michele

Domenica 22 gennaio 2023 sono stato a visitare la tomba di Igor Stravinskij, che per sua volontà, dopo la morte avvenuta a New York, fu sepolto nel cimitero di San Michele a Venezia.

Poco distante dalle tombe di Stravinskij e di sua moglie Vera, nello stesso cimitero troviamo anche la tomba di Sergej Djagilev (1872-1929), che a Venezia morì: era il celebre impresario dei "Balletti russi", al cui nome sono legati i primi grandi successi del compositore. 

Balletti russi

Stravinskij a VeneziaColgo l'occasione per rendere omaggio al sommo compositore, uno dei massimi artefici del Novecento musicale, e lo faccio seguendo un metodo efficace della Pedagogia Musicale, ossia l'autobiografia musicale: mediante il ricordo dei miei personali incontri con i più importanti lavori dell'Autore traggo insegnamenti che poi riassumo, in fondo a questo post, in una breve riflessione finale sul senso della sua opera. 

Selezione del Reader's Digest
Il mio primo incontro con l'arte di Stravinskij (1882-1971) risale alla mia infanzia, quando il compositore era ancora vivente: frequentavo la scuola elementare, quando già consultavo con curiosità la discoteca dei miei genitori; in particolare mi aveva affascinato una raccolta di dischi RCA divulgata da Selezione del Reader's Digest  e intitolata Panorama di Musica Immortale: il compositore era raffigurato con un celebre disegno di Picasso, accanto alla foto di una prova da una coreografia di Massine del 1920. L'ascolto della Sagra della primavera fu per me una rivelazione sconvolgente, mi sembrava il culmine della modernità; ed oggi, a distanza di quasi sessant'anni, mi dà ancora la stessa impressione.

Selezione del Reader's Digest

Una esperienza di poco successiva fu l'ascolto e la visione dell'Uccello di fuoco al Teatro Petruzzelli di Bari, nel 1969: in questa occasione ebbi l'intuizione del profondo legame del compositore innanzitutto con il suo maestro Rimskij-Korsakov, ma anche con Mussorgskij, di cui in quel periodo venivo a conoscere i Quadri di un'esposizione  e Una notte sul monte Calvo.

Stravinskij e Andersen
Negli stessi anni scoprii che la mamma di mia mamma, Libertà Calvi, possedeva uno spartito di Rossignol datato 15 settembre 1927. Modernissima, aggiornatissima, la mia nonna, che proprio in quell'anno portava in grembo la mia mamma. Nello spartito ho ritrovato la dimensione del fiabesco, in questo caso tratta dalla fonte di Andersen, ma costante riferimento della poetica del musicista, soprattutto nella sua matrice russa originaria.

Scherchen alla Scala
Tra le carte di famiglia ho trovato anche un programma di sala, datato 18 giugno 1926, interamente dedicato al compositore: l'Orchestra del teatro alla Scala era diretta da Hermann Scherchen (1891-1966) e Stravinskij stesso eseguiva come solista il suo Concerto per pianoforte e orchestra. Completavano il programma Feux d'artifice e la Sagra della primavera. Si capisce da questi documenti non solo la fama internazionale del musicista, all'epoca poco più che quarantenne, ma anche la sua maestria strumentale, che ci fa intendere quanto la complessità della sua scrittura pianistica sia stata sperimentata e praticata dall'autore stesso.

Ricordo molto bene la notizia della morte del Maestro, avvenuta a New York il 6 aprile 1971; una notizia che appresi dal quotidiano e che ovviamente mi fece una grande impressione. Lessi poi e vidi le fotografie del funerale che avvenne, appunto, a Venezia.

Tramite un bel catalogo di dischi LP, firmato CBS, venni a conoscenza di tutti i titoli della sua straordinaria carriera compositiva. Molti anni dopo acquistai l'integrale (trasferita in CD), che tra l'altro contiene molte esecuzioni dirette dal compositore stesso. Un catalogo ricchissimo, che copre oltre sessant'anni di attività e che presenta una intima coerenza, al di là delle "fasi" stilistiche nelle quali è stato suddiviso.

Stravinskij e Ramuz
Ma, tornando alle mie esperienze giovanili, ricordo una rappresentazione dal vivo di Histoire du soldat da parte di una compagnia di musicisti e attori itineranti, a Rovereto in via delle Fosse, nei primi anni Settanta, all'epoca delle Settimane di Musica Contemporanea organizzate dal Maestro Silvio Deflorian. Un periodo fecondo e creativo, quel decennio immediatamente successivo alla morte del compositore, nel quale la rappresentazione sulla strada del suo antico lavoro del 1918 ne rivelava ancora la sorprendente attualità.

Thomas Rajna
Ed ancora : un disco che contiene tutta la musica pianistica di Stravinskij, eseguita dal pianista inglese di origine ungherese Thomas Rajna (1928-2021), e ovviamente Trois mouvements de Petrouchka registrato da Maurizio Pollini (dopo averlo ascoltato dal vivo, nel 1969, al Teatro Petruzzelli); e poi The Rake's Progress alla Scala (1980 circa); e la lettura dei libri fondamentali di Roman Vlad e di Robert Craft.

Threni Lamentationes
Negli anni Novanta, al Laboratorio di Musica Contemporanea diretto da Francesco Valdambrini, ricordo le esercitazioni di direzione, svolte su Histoire du soldat, di grande valore didattico e formativo, per la necessità di controllare la scansione dei ritmi continuamente modificati e sovrapposti; poi la mia analisi della Sagra, svolta in un seminario di studi interno al Laboratorio, l'ascolto e l'analisi dei Threni e lo studio della dodecafonia nella personalissima applicazione dell'ultimo periodo di Stravinskij, 

Non posso non citare altre opere che mi sono particolarmente care: Les noces, la Sinfonia di Salmi, Oedipus Rex.

Nižinskij
Petrouchka
nella prima rappresentazione (1911),
interpretato da Vaclav Nižinskij

Nel 1992 avevo anche pubblicato un fascicolo di Analisi di opere pianistiche del Novecento, che contiene un capitolo su Le tecniche e lo stile di Stravinskij: in esso affermo che Petrouchka ci appare non solo come una metafora dell'uomo contemporaneo (che, ridotto a marionetta, vive una tragica conflittualità con la sua umanità repressa) ma come rappresentazione del compositore stesso: nel suo stile, l'apparente meccanicismo maschera e, per contrasto, evidenzia la profonda umanità del suo lirismo.

Analisi di musica per pianoforte
E concludo affermando che nella musica di Stravinskij gli aspetti stilistici più evidenti, costanti in tutte le fasi della sua opera, sono l'impiego sistematico dell'ostinato (in senso melodico, ritmico, armonico) e la dissociazione tra gli elementi costitutivi (sovrapposizione di armonie diverse, sovrapposizione di ritmi diversi). L'ostinato e la dissociazione sono gli aspetti essenziali di una poetica che è stata definita "oggettivista", secondo una tradizione interpretativa consolidata: termine tuttavia, a mio parere, fuorviante nel definire uno stile che viceversa mi appare determinato non da un freddo meccanicismo, ma al contrario da un interiore lirismo espressivo, un lirismo che nasce proprio dalla coscienza della conflittualità tra gli elementi. 

Le poetiche dell'ostinato e della dissociazione sono quindi l'espressione (a volte sofferta, a volte parodistica) della condizione esistenziale e sociale dell'uomo moderno, nel contesto di un messaggio artistico profondamente umano.

Stravinskij anziano
Grazie, Maestro Stravinskij, grazie papà Igor. Sono felice di aver reso omaggio alla tua tomba.


domenica 22 gennaio 2023

Le Variazioni di Beethoven sopra un tema di Paisiello

Nel periodo classico, ed in particolare a Vienna, era molto frequente la composizione di Variazioni sopra temi celebri. Si tratta in realtà di una prassi molto antica, che percorre tutta la storia della musica, ma che ha avuto un'applicazione particolarmente felice in quel periodo. In molti casi questa pratica era la conseguenza di una attività concertistica dei compositori, perché le due professioni (creatore di musica ed interprete) non erano rigidamente separate, ma al contrario erano abitualmente praticate da tutti i musicisti.

Beethoven giovane
Beethoven giovane,
dipinto di Hornemann

Anche Beethoven, come Haydn e Mozart, si dedicò fin dalla giovinezza a questa forma musicale, che utilizzerà in modo sempre più raffinato fino agli ultimi anni. Possiamo dire che lo stile delle Variazioni beethoveniane evolve progressivamente da una concezione di abbellimento e di virtuosismo strumentale, tipica di un concetto di arte come intrattenimento, ad una ricerca sempre più complessa ed ardita sulle possibilità strutturali della variazione, secondo un ideale più alto e quasi astratto di creatività musicale. 

Notiamo comunque che anche nelle opere giovanili si intravede qualcosa del genio maturo. E' il caso delle Sei Variazioni sopra un duetto di Paisiello, composte da Beethoven nel 1795. Il compositore, giunto a Vienna da tre anni, utilizza un tema tratto da un'opera recente, L'amore contrastato, nota poi come La molinara, che Giovanni Paisiello (Taranto 1840 - Napoli 1816) aveva rappresentato a Napoli nell'autunno 1788 e che, con grande successo, era giunta fino a Vienna. Un tema dolcemente aggraziato, di tipico gusto italiano, che era subito entrato nel patrimonio comune degli amatori di musica. 


Nel cor più non mi sento
Frontespizio e prima pagina 
dell'edizione originale (Vienna, 1796)

Ho pubblicato su Youtube una mia recente esecuzione delle Variazioni di Beethoven, che si possono ascoltare a questo link

Nel cor più non mi sento

La fama immediata del tema di Paisiello è dovuta alla felice espressione di quella Empfindungskeit che rappresenta il nucleo della poetica di fine secolo: una sorta di preromanticismo, ancora legato ai dettami formali del classicismo, ma già orientato alla rappresentazione musicale di sentimenti più intimi.

Celebre in tutto l'Ottocento, questa melodia è stata poi immortalata nel 1885 da Alessandro Parisotti (1853-1913) nella sua celebre raccolta di Arie antiche, adattate in forma di romanza per canto e pianoforte, ad uso degli studenti di canto e degli amatori. Ed in questa versione viene ancor oggi spesso eseguita in concerto.

Beethoven giovane
Beethoven in un ritratto di Riedel

Il giovane Beethoven, che aveva raggiunto Vienna nel 1792 con l'intento di affermarsi come pianista e come compositore, produsse subito molte opere, in particolare per il suo strumento, il pianoforte. Tra queste, le Variazioni sopra un tema di Paisiello: esse sono catalogate con la sigla WoO 70; si tratta dunque del numero 70 tra le "Werke ohne Opus", ossia le opere che non hanno un numero d'opus ufficiale.

Spesso si ascoltano esecuzioni che sottolineano il carattere virtuosistico, certamente non assente nell'intento del giovane musicista. Tuttavia io preferisco una lettura più riflessiva, che va oltre l'aspetto meramente strumentale, ricercando questo nucleo di Empfindugskeit che in modo così significativo anticipa la poetica romantica della sua produzione maggiore.

Tema con variazioni
Nella esecuzione del Tema, ad esempio, è importante fare riferimento al modello vocale. Perciò penso che non sempre le piccole note di abbellimento debbano essere eseguite come acciaccature, ma in alcuni casi sia preferibile l'appoggiatura: ho adottato perciò una soluzione mista. Inoltre, è importante rendere il carattere dolce, sentimentale di questo tema, evitando uno stacco troppo veloce ed una interpretazione troppo brillante.

Le prime tre Variazioni presentano il classico gioco di agilità affidato dapprima alla mano destra, poi alla sinistra, ed infine alle due mani alternate. Mi pare però che Beethoven vada oltre il gioco puramente tastieristico, valorizzando piuttosto il valore espressivo dell'ornamentazione, intendendo cioè le "fioriture" proprio in senso suggestivamente etimologico, come fiori profumati, di cui va assaporata la piena fragranza: ecco perché una velocità eccessiva potrebbe renderne più superficiale l'effetto. 


Tema con variazioni

Tema con variazioni


Tema con variazioni


Va notata, poi, già nella mano sinistra della prima variazione e poi nella terza, l'uso dei suoni sforzati sul tempo debole, che diventeranno una delle caratteristiche salienti dello stile beethoveniano maturo. 

La Variazione 4, che utilizza il cambio di modo (sol minore anziché sol maggiore) rappresenta il culmine del climax espressivo, con le piccole appoggiature "dolenti" su armonie dissonanti, che valorizzano il canto, il quale deve assolutamente prevalere, anche nella sua piccola evoluzione contrappuntistica, un dialogo a due voci tra le due mani.

Tema con variazioni

Con la Variazione 5 il tono generale si alleggerisce, anzi la musica assume quasi un sapore umoristico, soprattutto per il ripetersi "ostinato" della terzina ammiccante, che si ripete continuamente, quasi sbeffeggiando bonariamente. Tutto ciò perché il dolore espresso nella variazione precedente è cosa tenue e subito, come in Paisiello, prevale il sorriso.

Tema con variazioni

La Variazione 6 recupera la cantabilità originaria del tema, ora avvolto in una figurazione più continua di dolce movimento in sestine di sedicesimi. In questo caso trovo assolutamente legittimo prolungare leggermente la durata dei suoni del canto, e anche del basso, in modo che prevalgano nella successione continua dei suoni; esattamente come si praticava all'epoca, e come tuttora fanno i pianisti che suonano su tastiere storiche.

Tema con Variazioni

L'ultima Variazione procede senza soluzione di continuità ad una Coda, nella quale sarebbero previste le mani incrociate, ma si può benissimo eseguire con uno scambio alternato tra le due mani: infatti, anche in questo caso non si tratta di virtuosismo, ma al contrario del prevalere progressivo della dolcezza, che sfuma verso il pianissimo conclusivo.

Tema con Variazioni