giovedì 23 marzo 2023

Edvard Grieg. Ein Traum. Breve analisi musicale

Lieder

Ein Traum 
(En Drøm) op. 48 n. 6
 fu composto da Edvard Grieg nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864.

Nel precedente post ho brevemente descritto il testo poetico, la sua forma letteraria e la traduzione in lingua italiana. Ora analizzo brevemente la composizione musicale di Grieg, soprattutto dal punto di vista formale, con qualche breve indicazione sull'armonia e sulla scrittura strumentale e vocale.

Abbiamo visto che il testo poetico consiste in cinque quartine di novenari a rime alternate. Nella musica, le cinque strofe corrispondono ad una forma musicale A1, A1, B, C, A2. In altre parole, la prima e la seconda strofa sono quasi uguali (con una importante modifica di tessitura nella parte pianistica), e perciò le indichiamo con la stessa sigla A1; la terza è diversa, perciò la indichiamo con B; la quarta ancora diversa, e quindi la indichiamo con C; infine la quinta strofa riprende in modo evidente la struttura di A, però con importanti differenze, perciò la indicheremo con A2. Questo impianto formale assicura all'ascoltatore la percezione di una coerenza interna, sulla quale il compositore opera il suo grande climax espressivo che porta ad un punto culminante proprio nelle ultime battute del pezzo.

Il pezzo, nella tonalità originale di Re bemolle Maggiore (nel repertorio cameristico sono abituali le trasposizioni in base alla tessitura del cantante), consta di 52 battute, in tempo 3/4 e indicazione di movimento Andante.

Possiamo schematizzare la forma del pezzo in questo modo:

  • Una battuta di introduzione del pianoforte, in Re bemolle Maggiore (battuta 1)
  • A1: otto battute in Re bemolle Maggiore (bb. 2-9)
  • Una battuta di interludio del pianoforte (b. 10)
  • A1: otto battute in Re bemolle Maggiore (bb. 11-18)
  • Una battuta di interludio del pianoforte (b. 19)
  • B: otto battute, modulanti da Mi Maggiore a Re, Do, Si bemolle (bb. 20-27)
  • C: dodici battute, modulanti da Re bemolle Maggiore a Sol bemolle Maggiore (bb. 28-39); notare bene la ripetizione della parola nimmermehr (mai più); da questa sezione comincia un grande "stringendo e crescendo", culminante nella sezione successiva
  • A2: dieci battute in Re bemolle Maggiore (bb. 40-49)
  • Tre battute di coda del pianoforte, in Re bemolle Maggiore (bb. 50-52)

L'armonia di Grieg è particolarmente ricercata, nell'uso di accordi alterati e complessi che sono scelti anche per la loro fascinazione timbrica. Ad esempio, proprio nelle prime 6 battute, in Re bemolle Maggiore, troviamo a b. 3 l'accordo sol bemolle - la bequadro (che possiamo interpretare come si doppio bemolle) - re bemolle - fa, ossia una settima sul IV grado con terza abbassata:

Lieder

poi a b. 4 sol bequardo - si bemolle - re bemolle - fa, ossia nuovamente un IV grado con fondamentale alzata:

Lieder
a b. 5 nuovamente l'accordo di b. 3:

Lieder

e infine a b. 6 il ritorno in tonica: si tratta dunque di un movimento cromatico delle parti interne, mentre il basso mantiene saldamente la tonica e la voce superiore del pianoforte mantiene il fa, che potremmo definire un pedale di terza. 

Altro passaggio interessante tra le battute 19 e 20: l'accordo di La bemolle Maggiore di b. 19 conduce direttamente al Mi Maggiore di b. 20; si tratta del procedimento di accostamento di due toni lontani per transizione (cfr. Piston, Armonia,  cap. 14, p. 229: "Un tipo di transizione abbastanza comune nel diciannovesimo secolo è lo spostamento cromatico, da una tonalità ad un'altra, un semitono più in alto"); in questo caso, dopo la tonica di La bemolle, ci potremmo aspettare un I di Mi bemolle (V di La bem.) e invece a sorpresa troviamo il I di Mi Maggiore, ossia un semitono sopra:

Lieder

Segue una lunga progressione cromatica discendente, che tocca Re Maggiore, Do Maggiore, Si bemolle Maggiore, per poi arrivare (b. 28) alla dominante del tono base di Re bemolle. 

A questo punto, pur con varianti armoniche, notiamo la ripresa di A, come detto, nella quale l'aspetto musicale più importante è il poco a poco stringendo e crescendo che rappresenta il climax, davvero carico di sensualità, del pezzo. 

Notevole, a sostegno dell'acuto culminante del canto a b. 47, l'uso dell'accordo di V con la tredicesima. ossia la bemolle - do - mi bemolle - sol bemolle - fa:

Lieder

Sono interessanti anche alcuni aspetti di scrittura strumentale e vocale: ad esempio, abbiamo visto che le battute 11-18 sono sostanzialmente una ripetizione delle battute 2-9, e perciò abbiamo dato la stessa sigla A1; tuttavia la ripetizione non è uguale, perché la tessitura del pianoforte è spostata un'ottava sopra.

Una figurazione caratteristica nei brevi interludi del pianoforte, alle battute 10 e 19, richiama gli stilemi della musica popolare, assai cara al nostro autore:

Lieder


Infine, un dettaglio piccolo ma significativo: a b. 3, l'edizione ci mostra un asterisco sul la bequadro del canto, che rimanda ad una nota in calce, nella quale è scritto sehr weich, ossia molto morbido (o anche tenero); è strano che non l'abbia indicato sul rigo musicale, sembra quasi una puntualizzazione marginale o posteriore, ma esprime un aspetto espressivo importante: le prime frasi sono dolcissime, poi già nella ripetizione di A1 il cambio del tessitura al pianoforte impone anche al cantante un cambio di carattere, una sorta di preparazione al climax successivo. Ma qui siamo già nell'ambito dell'interpretazione, per la quale rimando ad un breve post successivo.


sabato 18 marzo 2023

Edvard Grieg, Ein Traum. Il testo di Bodenstedt

 Ein Traum (En Drøm) op. 48 n. 6 è un Lied composto da Edvard Grieg nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864. Nella edizione di Grieg appaiono sia il testo originale tedesco, sia la traduzione in norvegese, curata da Johan Nordahl Brun Rolfsen.

Si tratta dell'ultimo di un ciclo di sei Lieder. Evoca un sogno d'amore che si realizza felicemente anche nella realtà.

Vorrei presentare questa bella composizione in modo molto didattico. In questo post analizzo il testo poetico.

Friedrich von Bodenstedt
Friedrich von Bodenstedt (1819-92) fu uno scrittore poliglotta e viaggiatore, conobbe la Russia, la Persia e l'America, con la volontà di approfondire la conoscenza delle culture di questi paesi, a partire dalla lingua.

In questa poesia aderisce ad un tema tipico della letteratura romantica tedesca, il rapporto tra sogno e realtà, qui risolto in termini positivi, senza indulgere ad elementi di malinconia nostalgica. 

La ripetizione di alcuni versi esprime un carattere popolaresco.

La poesia è costituita da cinque quartine di novenari in rima alternata.

Ecco il testo della poesia, con mia traduzione a fronte:

Procedo ora ad una traduzione parola per parola, ossia farò una traduzione letterale che ci permetta di cogliere la collocazione grammaticale e sintattica, ma anche il significato specifico di ogni parola, cosa assolutamente necessaria per il cantante, anche qualora non fosse di madrelingua tedesca. 




Nel prossimo post spiegherò come il compositore utilizza questa forma poetica, vestendola con una forma musicale.

mercoledì 15 marzo 2023

Un sogno di Edvard Grieg

 

Grieg
Edvard Grieg
Nella ampia produzione musicale di Edvard Grieg (1843-1907), il maggiore compositore norvegese dell'Ottocento, uno spazio significativo è dato dalla produzione di Lieder.

Ein Traum (En Drøm) op. 48 n. 6 fu composto nel 1889, su testo del poeta tedesco Friedrich von Bodenstedt (1819-92), a sua volta pubblicato nel 1864. Nella edizione di Grieg appaiono sia il testo originale tedesco, sia la traduzione in norvegese, curata da Johan Nordahl Brun Rolfsen.

Si tratta dell'ultimo di un ciclo di sei Lieder. Evoca un sogno d'amore che si realizza felicemente anche nella realtà.

Vorrei presentare questa bella composizione in modo molto didattico, realizzando tre prossimi post brevi. 

Nel primo tradurrò il testo tedesco parola per parola, ossia farò una traduzione letterale che ci permetta di cogliere la collocazione grammaticale e sintattica, ma anche il significato specifico di ogni parola, cosa assolutamente necessaria per il cantante, anche qualora non fosse di madrelingua tedesca. 

Nel successivo post farò una breve analisi musicale, partendo da una sintesi della forma del pezzo e addentrandomi in alcuni brevi dettagli.

Infine, nell'ultimo post commenterò alcune esecuzioni che troviamo online, perché il confronto tra la pagina scritta e le esecuzioni storiche può essere una buona occasione di approfondimento della conoscenza del pezzo: non necessariamente per "imitare", ma per acquisire una sempre maggiore competenza di ascolto critico. 

Per cominciare, possiamo ascoltare la grande Kirsten Flagstad con il pianista Edwin McArthur.

Ottima interpretazione, più recente, anche da parte del soprano Marcela Wierbicka-Opalinska con il pianista Adam Rogala.




sabato 11 marzo 2023

Ha senso demitizzare il mito?

Bernini
In questi giorni, per l'ennesima volta, volendo ascoltare e guardare uno spettacolo lirico, mi sono imbattuto in una tipica produzione di moda in questo nostro tempo inquieto e travagliato. Si tratta di produzioni che spesso possiamo ammirare dal punto di vista musicale, con ottimi direttori, ottimi strumentisti ed ottimi cantanti, ma che si inseriscono nel filone delle regie d'opera "attualizzanti", che ormai sono la regola nella consuetudine odierna. Gli dei dell'Olimpo in giacca e cravatta, o quelli del Walhalla in costume da spiaggia, sono ormai talmente ricorrenti da produrre persino fenomeni di imitazione. I water in scena sono ormai un luogo comune, così come le berline anni Trenta.

Un ballo in maschera
Per scelta evito di citare i nomi e i fatti che non apprezzo. Faccio un'unica parziale eccezione, perché esemplare del fenomeno che intendo criticare, ed è esemplare perché quasi paradossale nella sua cruda volgarità: si tratta dell'allestimento di Un ballo in maschera (uno dei capolavori della maturità di Giuseppe Verdi) che fu realizzato alcuni anni fa in un importante teatro spagnolo. La didascalia del libretto di Antonio Somma dice: "Una sala nella casa del governatore. In fondo l'ingresso delle sue stanze... E' il mattino. Deputati, Gentiluomini, Popolani, Uffiziali, sul dinanzi Samuel, Tom e loro aderenti, tutti in attesa di Riccardo.". Il coro di Uffiziali e Gentiluomini canta queste parole: "Posa in pace, a' bei sogni ristora, o Riccardo, il tuo nobile cor. A te scudo su questa dimora sta d'un vergine mondo l'amor". Risulta chiaro, dallo sviluppo della vicenda, che si tratta di un testo ipocrita, quella ipocrisia che è tipica di chi adula il Potere e al tempo stesso ne prepara di nascosto la caduta. Infatti alcuni congiurati stanno tramando contro il governatore Conte Riccardo: non c'è nulla di vergine, non si tratta certo di amore nelle intenzioni cospirative e nell'adulazione. Il regista ha avuto l'idea di rappresentare tutto ciò raffigurando, all'apertura del sipario, una fila di sanitari nella quale gli uomini sono seduti, a braghe calate, in attesa di espellere le funzioni naturali corporali. Evidentemente, ha voluto rappresentare in questo modo l'ipocrisia e la congiura nascosta, rappresentandole con quanto di più basso e volgare sia dato immaginare nella concretezza della nostra vita terrena. Infatti, nel gergo popolare, si usa anche dire che stare seduti sul water sia "la seduta sul trono": un detto che ben esprime, con ironia, il rapporto di corrispondenza tra la presunzione di altezza regale e la bassezza dei sentimenti che spesso vi si accompagna. Ma il punto è questo: occorreva un'immagine così rozza e così didascalica? La visione di uomini ben vestiti, in costumi d'epoca e in posa falsamente ipocrita, unita alla forza della musica di Verdi (musica altamente rappresentativa e simbolica, per sua natura) non sarebbe stata sufficiente, e sicuramente più efficace, per evocare il senso profondo della vicenda? Dunque, la crudezza di questo tipo di rappresentazione esprime una doppia sfiducia: nel pubblico, e nella forza dell'arte.

Preciso subito che non sono contrario a priori ad una lettura moderna e innovativa dell'opera. Se volessi banalizzare il tema, chiudendomi in un acritico rifiuto, potrei fermare il discorso dicendo semplicemente che lo stesso rispetto che, ancora oggi, i direttori d'orchestra e i musicisti dimostrano nei confronti della partitura dovrebbe essere analogamente esercitato dai registi nei confronti del libretto. Tuttavia riconosco che alcune soluzioni innovative sono efficaci e funzionali alla piena fruibilità e comprensione dell'opera.  Ma, avendo assistito ormai spesso a spettacoli di questo tipo, mi sembra di aver individuato alcune costanti che cercherò qui di descrivere brevemente, e che possiamo riassumere nella volontà preconcetta di demitizzare il mito

Siracusa
Per mito intendiamo non solo la narrazione di eventi legati alla mitologia classica, in particolare greco-romana, ma più in generale ogni rappresentazione che, spostando gli eventi dal tempo presente ad un tempo passato, sia esso storico oppure favolistico o esplicitamente mitologico, intenda distaccare l'attenzione razionale dal vissuto quotidiano ed immergere l'ascoltatore/spettatore in una dimensione diversa, apparentemente estranea alla sua esperienza concreta. Cercherò di dimostrare che proprio in questa "apparenza" di estraneità consiste l'equivoco. 

Mandala
Mito è qualsiasi storia che, proprio per il fatto di essere distante alla nostra esperienza concreta, assume un significato più ampio, più alto e più profondo, che comprende ANCHE  la nostra esperienza concreta e al tempo stesso la trascende, e quindi, in questo comprendere e trascendere, ci dà la possibilità di cogliere il senso più profondo delle cose, evitando il rischio di una parzialità riduttiva. In sintesi, il mito ci permette una comprensione più profonda, più completa e più autentica della realtà che viviamo concretamente.

Mi pare che la preoccupazione maggiore dei registi contemporanei sia invece il bisogno di attualizzare le narrazioni, per far capire al pubblico che ciò che l'opera storica evocava "miticamente" può essere facilmente ricondotto alla nostra esperienza concreta e quotidiana. In questa operazione troviamo due temi dominanti: quello sessuale e quello politico. La tematica sessuale potrebbe sembrare una interpretazione freudiana delle storie, ma a me pare che sia una riduzione della psicoanalisi a clichés di maniera: un'operazione di semplificazione e banalizzazione, che è ben lontana dagli assunti profondi della scienza psicoanalitica, come spiegherò più avanti. Analogamente, anche il tema politico mi sembra ridotto a clichés convenzionali e molto ripetitivi, oltre al pericolo di una lettura fortemente ideologica, ossia parziale, dei fenomeni.

Contesto dunque questa scelta di attualizzazione per tre motivi: perché è didascalica, perché è razionalista, e perché è ideologica.

Innanzitutto, è una scelta didascalica: è come se il pubblico avesse sempre bisogno di una spiegazione, di una chiave di lettura, nella sfiducia totale delle capacità comunicative dell'opera originale. Il pubblico non può capire, e perciò io, regista, glielo spiego. Un atto di presunzione che di fatto rappresenta un atto di sfiducia nei confronti del pubblico, oltre che dell'opera stessa. La scelta didascalica violenta la natura evocativa dell'opera d'arte, il suo potere di richiamare alla mente una molteplicità di nessi e di situazioni, consce ed inconsce. Didascalico è sbagliato anche perché è una interpretazione parziale, che umilia e nasconde la polisemia dell'opera d'arte, ossia la sua capacità di esprimere una molteplicità di significati non riducibile ad una lettura univoca.

Inoltre, l'attualizzazione è una scelta razionalista, che ignora l'esistenza dell'inconscio e riduce tutto ad una comprensione razionale delle cose. L'inconscio è violentato dalla prepotenza della ragione, come se essa fosse in grado di capire tutto, cosa che la psicoanalisi ha dimostrato non essere vera.

Infine, l'attualizzazione è una scelta ideologica. Questa scelta è conseguenza della parzialità dell'interpretazione: la parzialità mette in evidenza soltanto ciò che ideologicamente si vuole sottolineare. Cosa significa ideologico? L'ideologia è un apparato di idee razionali che è funzionale ad uno spostamento del potere economico da un soggetto ad un altro; in altre parole l'ideologia serve a soddisfare i bisogni più materiali, a cominciare dal bisogno (patologico) di Potere. Se io ideologizzo un oggetto, gli tolgo la sua valenza simbolica

Cinque Buddha
La simbologia invece è una comunicazione che elude le idee razionali e raggiunge in modo immediato e, almeno in parte, inconscio la profondità dell'animo umano, cioè quel nucleo che sta al di là della soddisfazione materiale, sta più in alto rispetto ai bisogni più bassi, sta più in profondità nell'intimo della persona. Ciò che alla mente razionale appare estraneo, desueto, anacronistico, si comunica invece in modo estremamente diretto ed efficace nel nostro inconscio.

La spiritualità, ad esempio, e quindi anche la teologia, deve essere necessariamente simbolica e non ideologica: sappiamo quanto la riduzione della spiritualità ad ideologia abbia tragicamente prodotto nella storia dell'umanità: la "religione", attualizzata e ideologizzata, è divenuta strumento di oppressione e di morte, tradendo la sua più profonda natura.

Carl Gustav Jung
Concludo citando Jung, che nella sua opera ultima riassume molto bene ciò che ho inteso dimostrare in questo post. 

"I miti risalgono ad un narratore primitivo ed ai suoi sogni, a uomini mossi dallo stimolo appassionato delle loro fantasie. Costoro non si differenziavano gran che da coloro che dopo molte generazioni sono stati chiamati poeti o filosofi. I narratori primitivi non si preoccupavano di conoscere l'origine delle loro fantasie; fu solo in epoche molto posteriori che ci si cominciò a chiedere da dove i racconti avessero avuto origine... Il sogno è un fenomeno normale e naturale e non significa ciò che esso non è... La confusione nasce solo per il fatto che i contenuti del sogno sono simbolici e possiedono perciò più di un significato. I simboli sono orientati in direzioni differenti da quelle che noi riusciamo a ravvisare con la mente conscia e perciò si riferiscono a qualcosa di inconscio o almeno di non completamente conscio" (C. G. Jung, Introduzione all'inconscio, in L'uomo e i suoi simboli, 1959-60, edito postumo nel 1964, trad.it. Milano, Raffaello Cortina, 1983).

venerdì 3 marzo 2023

La musica classica, ormai, non la segue più nessuno?

 Nell'epoca di Internet e dei social networks ogni persona può esprimere liberamente con un post o un commento il proprio personale punto di vista. Ciò è molto bello (la libertà di ognuno di potersi esprimere liberamente) e presenta ovviamente l'altra faccia della medaglia: si legge di tutto e a volte i "punti di vista" sono molto opinabili.

Recentemente mi è capitato di leggere un commento che più o meno suonava così: "La musica classica, ormai, non la segue più nessuno".

Beethoven
Beethoven

Innanzitutto potremmo intrattenerci a lungo sull'aggettivo "classica", che è stato dibattuto per anni e anni (esiste anche un bel video del giovane Bernstein sull'argomento) e vorrei chiarire che questo aggettivo è insoddisfacente, dice qualcosa ma non abbastanza. Forse potrebbe essere soddisfacente se dessimo alla parola uno dei suoi significati pregnanti, ossia (secondo il vocabolario Treccani online): "perfetto, eccellente, tale da poter servire come modello di un genere, di un gusto, di una maniera artistica, che forma quindi una tradizione o è legato a quella che generalmente viene considerata la tradizione migliore". Può andare bene? A me pare un'ottima definizione a livello teorico, ma il punto è: chi stabilisce cosa è perfetto, eccellente, quale può essere la tradizione migliore? In realtà, ognuno ha la sua risposta e quindi tale definizione è insoddisfacente. 

Se andiamo sul portale della SIAE, ci viene indicato il genere "serio" come alternativo al jazz o al pop, ma evidentemente questa definizione ci fa sorridere.

Forse potrebbe essere più neutro un aggettivo legato alla storicità della musica, quindi musica "storica", ossia del passato, contrapposta a quella del presente: ma in questo caso si perde la distinzione tra musica di valore e musica scadente, perché entrambe, se appartengono al passato, possono definirsi "storiche".

E nemmeno ci può andare bene un concetto di musica "complessa", contrapposto a "semplice", perché anche questo è trasversale ai generi e alle epoche storiche.

Lasciamo dunque stare gli aggettivi qualificativi e, tornando al commento del frequentatore di social citato sopra, soffermiamoci un attimo sul carattere apodittico della sua affermazione: egli è sicuro, certo, che la musica classica, "ormai", non la segua più nessuno. Apodittico, sempre secondo Treccani, è il tono di una "persona che parla, giudica o argomenta in tono dogmatico, dando alle sue parole un carattere di validità assoluta". Questi moderni strumenti di comunicazione, anziché favorire il dialogo e lo scambio rispettoso di opinioni, hanno alimentato la tendenza alle affermazioni apodittiche: siamo tutti professori di Dogmatica, ovviamente prendendo riferimento dagli influencer, ossia da quei personaggi senza curriculum, che con grande abilità hanno imparato ad utilizzare questi strumenti attuali per imporsi nella società, basando appunto la loro comunicazione sulla perentorietà delle affermazioni, senza lasciare spazio al dialogo, al confronto, all'analisi critica. Ne abbiamo visti esempi molto evidenti anche nell'ultima edizione del maggiore evento massmediatico italiano. Oppure pensiamo al modello pessimo dei talk show televisivi, dove ognuno urla la propria verità e nessuno ascolta l'opinione dell'interlocutore.

Socrate
Socrate

Socrate
non è più di moda. Sembra non avere più valore il suo metodo fondamentale, ossia porre domande, anziché confezionare risposte. Porre domande innanzitutto a se stessi, e poi ai propri interlocutori: questo dovrebbe essere l''unico metodo efficace per avvicinarsi alla verità, pur nella certezza di non poterla mai possedere interamente. La società contemporanea, al tempo dei social networks, ignora Socrate e predilige il modello dogmatico. La cosa mi spaventa molto, perché conduce direttamente all'autoritarismo e ai regimi totalitari, anche se abilmente mascherati con la parvenza del buonismo e della preoccupazione per il bene comune. 

Auden
W.H.Auden

"Il male senza voce prese a prestito il linguaggio del bene e lo ridusse a mero rumore", scrisse il poeta Wystan Hugh Auden (1907-1973). 

Aragon
Louis Aragon

E Louis Aragon (1897-1982): "Conosco molte persone che sono nate con la verità in tasca, che non si sono mai sbagliate ... Costoro sanno cosa è il Bene, l'han sempre saputo. Verso il prossimo mostrano la severità e il disprezzo che provengono dalla assoluta certezza di avere sempre ragione. Io non sono così ... Ciò che ho imparato mi è costato caro, ciò che so l'ho acquisito a mie spese. Non posseggo una sola certezza che non mi sia costata dubbi, angoscia, sudore, dolorose esperienze. Per questo ho rispetto per coloro che non sanno, che cercano, che brancolano, che urtano dappertutto. Mentre per coloro la cui ricerca della verità è stata facile provo ... poco interesse. Quando morranno, che si scriva sulla loro tomba: 'Ha avuto sempre ragione', che è appunto quanto meritano, e niente di più" (fonte: www.rodoni.ch/A20/)

Concludendo: cosa rispondere al Dogmatico che ha sentenziato "La musica classica, ormai, non la segue più nessuno"?

Per nostra fortuna, non è vero. Il problema si può risolvere con un percorso efficace di educazione all'ascolto. La bella notizia è che si può imparare ad ascoltare Josquin, o Monteverdi, o Bela Bartok! Ci vogliono una buona guida, impegno e motivazione, ossia gli ingredienti di una buona educazione critica e non dogmatica. Ma con questi ingredienti si può arrivare ad apprezzare la bellezza e la profondità di un messaggio artistico che trascende il contesto storico che l'ha prodotto, sia esso vicino o lontano nel tempo. 

E allora ci si accorgerà che Beethoven ha ancora qualcosa da insegnare alla società di oggi, così come Goethe, Shakespeare, Omero: senza bisogno di ritocchi, cancellazioni o attualizzazioni. Solo imparando l'arte dell'ascolto musicale, che, come diceva Claudio Abbado, ci insegna anche ad ascoltare gli altri e quindi ad essere meno dogmatici nelle nostre affermazioni.