Preciso subito che non sono contrario a priori ad una lettura moderna e innovativa dell'opera. Se volessi banalizzare il tema, chiudendomi in un acritico rifiuto, potrei fermare il discorso dicendo semplicemente che lo stesso rispetto che, ancora oggi, i direttori d'orchestra e i musicisti dimostrano nei confronti della partitura dovrebbe essere analogamente esercitato dai registi nei confronti del libretto. Tuttavia riconosco che alcune soluzioni innovative sono efficaci e funzionali alla piena fruibilità e comprensione dell'opera. Ma, avendo assistito ormai spesso a spettacoli di questo tipo, mi sembra di aver individuato alcune costanti che cercherò qui di descrivere brevemente, e che possiamo riassumere nella volontà preconcetta di demitizzare il mito.
Per mito intendiamo non solo la narrazione di eventi legati alla mitologia classica, in particolare greco-romana, ma più in generale ogni rappresentazione che, spostando gli eventi dal tempo presente ad un tempo passato, sia esso storico oppure favolistico o esplicitamente mitologico, intenda distaccare l'attenzione razionale dal vissuto quotidiano ed immergere l'ascoltatore/spettatore in una dimensione diversa, apparentemente estranea alla sua esperienza concreta. Cercherò di dimostrare che proprio in questa "apparenza" di estraneità consiste l'equivoco. Mito è qualsiasi storia che, proprio per il fatto di essere distante alla nostra esperienza concreta, assume un significato più ampio, più alto e più profondo, che comprende ANCHE la nostra esperienza concreta e al tempo stesso la trascende, e quindi, in questo comprendere e trascendere, ci dà la possibilità di cogliere il senso più profondo delle cose, evitando il rischio di una parzialità riduttiva. In sintesi, il mito ci permette una comprensione più profonda, più completa e più autentica della realtà che viviamo concretamente.Mi pare che la preoccupazione maggiore dei registi contemporanei sia invece il bisogno di attualizzare le narrazioni, per far capire al pubblico che ciò che l'opera storica evocava "miticamente" può essere facilmente ricondotto alla nostra esperienza concreta e quotidiana. In questa operazione troviamo due temi dominanti: quello sessuale e quello politico. La tematica sessuale potrebbe sembrare una interpretazione freudiana delle storie, ma a me pare che sia una riduzione della psicoanalisi a clichés di maniera: un'operazione di semplificazione e banalizzazione, che è ben lontana dagli assunti profondi della scienza psicoanalitica, come spiegherò più avanti. Analogamente, anche il tema politico mi sembra ridotto a clichés convenzionali e molto ripetitivi, oltre al pericolo di una lettura fortemente ideologica, ossia parziale, dei fenomeni.
Contesto dunque questa scelta di attualizzazione per tre motivi: perché è didascalica, perché è razionalista, e perché è ideologica.
Innanzitutto, è una scelta didascalica: è come se il pubblico avesse sempre bisogno di una spiegazione, di una chiave di lettura, nella sfiducia totale delle capacità comunicative dell'opera originale. Il pubblico non può capire, e perciò io, regista, glielo spiego. Un atto di presunzione che di fatto rappresenta un atto di sfiducia nei confronti del pubblico, oltre che dell'opera stessa. La scelta didascalica violenta la natura evocativa dell'opera d'arte, il suo potere di richiamare alla mente una molteplicità di nessi e di situazioni, consce ed inconsce. Didascalico è sbagliato anche perché è una interpretazione parziale, che umilia e nasconde la polisemia dell'opera d'arte, ossia la sua capacità di esprimere una molteplicità di significati non riducibile ad una lettura univoca.
Inoltre, l'attualizzazione è una scelta razionalista, che ignora l'esistenza dell'inconscio e riduce tutto ad una comprensione razionale delle cose. L'inconscio è violentato dalla prepotenza della ragione, come se essa fosse in grado di capire tutto, cosa che la psicoanalisi ha dimostrato non essere vera.
Infine, l'attualizzazione è una scelta ideologica. Questa scelta è conseguenza della parzialità dell'interpretazione: la parzialità mette in evidenza soltanto ciò che ideologicamente si vuole sottolineare. Cosa significa ideologico? L'ideologia è un apparato di idee razionali che è funzionale ad uno spostamento del potere economico da un soggetto ad un altro; in altre parole l'ideologia serve a soddisfare i bisogni più materiali, a cominciare dal bisogno (patologico) di Potere. Se io ideologizzo un oggetto, gli tolgo la sua valenza simbolica.
La simbologia invece è una comunicazione che elude le idee razionali e raggiunge in modo immediato e, almeno in parte, inconscio la profondità dell'animo umano, cioè quel nucleo che sta al di là della soddisfazione materiale, sta più in alto rispetto ai bisogni più bassi, sta più in profondità nell'intimo della persona. Ciò che alla mente razionale appare estraneo, desueto, anacronistico, si comunica invece in modo estremamente diretto ed efficace nel nostro inconscio.La spiritualità, ad esempio, e quindi anche la teologia, deve essere necessariamente simbolica e non ideologica: sappiamo quanto la riduzione della spiritualità ad ideologia abbia tragicamente prodotto nella storia dell'umanità: la "religione", attualizzata e ideologizzata, è divenuta strumento di oppressione e di morte, tradendo la sua più profonda natura.
Concludo citando Jung, che nella sua opera ultima riassume molto bene ciò che ho inteso dimostrare in questo post."I miti risalgono ad un narratore primitivo ed ai suoi sogni, a uomini mossi dallo stimolo appassionato delle loro fantasie. Costoro non si differenziavano gran che da coloro che dopo molte generazioni sono stati chiamati poeti o filosofi. I narratori primitivi non si preoccupavano di conoscere l'origine delle loro fantasie; fu solo in epoche molto posteriori che ci si cominciò a chiedere da dove i racconti avessero avuto origine... Il sogno è un fenomeno normale e naturale e non significa ciò che esso non è... La confusione nasce solo per il fatto che i contenuti del sogno sono simbolici e possiedono perciò più di un significato. I simboli sono orientati in direzioni differenti da quelle che noi riusciamo a ravvisare con la mente conscia e perciò si riferiscono a qualcosa di inconscio o almeno di non completamente conscio" (C. G. Jung, Introduzione all'inconscio, in L'uomo e i suoi simboli, 1959-60, edito postumo nel 1964, trad.it. Milano, Raffaello Cortina, 1983).
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