Se ancora oggi, purtroppo, la nostra società è tormentata dal problema della violenza contro le donne, la colpa non è di Biancaneve.
Paola Cortellesi mi è sempre stata simpatica: la apprezzavo per le sue qualità di attrice anche quando non era ancora così famosa come adesso. Non ho visto il suo ultimo film, e mi riprometto di andare a vederlo: ne ho letto ottime recensioni.
Ho ascoltato la sua prolusione alla LUISS e ho apprezzato l'umanità dell'artista, che mi è sembrata emozionata e, ciò che più conta, mi pare abbia mantenuto una autenticità della persona, nonostante lo strepitoso successo della sua recente opera, peraltro sottolineato da lei con dati oggettivi.
Tuttavia ho trovato poco felice quel passaggio del suo discorso che tratta la letteratura per l'infanzia, e in particolare la fiaba. Si tratta di un settore molto complesso, che è stato studiato in modo approfondito non solo dagli studiosi di questo genere specifico di letteratura, ma anche dagli antropologi e dagli psicoanalisti. Utilizzare i codici interpretativi della recente cancel culture mi sembra un'operazione rischiosa e poco corretta, benché indubbiamente molto di moda nel tempo attuale.
Un errore analogo, e veramente madornale, direi più grossolano rispetto a quello della Cortellesi, fu compiuto anni fa da Margherita Hack, celebre e stimatissima scienziata astrofisica, che ebbe la malaugurata idea di pubblicare un libricino dedicato proprio alla letteratura per l'infanzia; un libricino che penso fu molto venduto, a causa della fama dell'autrice, ma la cui lettura è a dir poco imbarazzante per la sua superficialità, nel suo dileggio per magie ed incantesimi (ricordo che ce l'aveva soprattutto con Harry Potter ...), un dileggio che deriva evidentemente dalla sua abitudine a studiare i fenomeni fisici, la qual cosa richiede un approccio, una procedura, una mentalità affatto diversi da ciò che si richiede al lettore di fiabe.
La Cortellesi se la prende con
Biancaneve (ed anche con
Cenerentola). Innanzitutto occorre precisare che questo titolo non è una invenzione di
Walt Disney, con il suo celebre cartone animato del 1937, bensì risale al 1812, con la prima edizione delle
Fiabe (
Kinder- und Hausmaerchen) dei
Fratelli Grimm, a loro volta ispirati ad antecedenti più antichi, che risalgono almeno al seicentesco Giambattista Basile, e ancora più su alle
Metamorfosi di Ovidio, e soprattutto ad una
tradizione orale millenaria che i Grimm avevano inteso recuperare e consegnare alla letteratura. Troviamo dunque
Schneewittchen, con importanti varianti, in tutte le edizioni dell'opera dei Grimm, fino alla settima del 1857.
Anche nel cinema, del resto, Biancaneve non nasce con Walt Disney, ma era stata il soggetto di almeno tre film precedenti, risalenti al secondo decennio del XX secolo. La grande novità di Disney fu soprattutto l'animazione dei bellissimi disegni, che consegnò alla storia il primo lungometraggio in cartoni animati (e, lasciatemelo dire, il primo capolavoro). Tra parentesi, noto che nessuno cita mai Bambi, che a mio giudizio resta il capolavoro assoluto nella produzione disneyana.
Il problema è che Paola Cortellesi applica una chiave di lettura razionalista e ideologica in un settore letterario che richiede altri parametri di comprensione, come già avevano sottolineato Froebel e i Grimm nel XIX secolo, e prima ancora il Vico: la fiaba non è un racconto realistico, e le chiavi di lettura razionaliste sono inadeguate a spiegarne il senso profondo e le risonanze inconsce nell'animo del lettore.
Carl Gustav Jung e sua moglie Emma Rauschenbach hanno chiarito molto bene, nelle loro opere, il ruolo delle fiabe e dei miti come strumenti necessari di esplorazione dell'inconscio. Il tema, affrontato da Jung a partire dalla sua opera fondamentale Simboli della trasformazione, è stato trattato da Emma in due testi, rispettivamente del 1931 e del 1950, oggi raccolti nel volume Animus e Anima (trad. it. Torino, Bollati e Boringhieri, 1992). Bruno Bettelheim ha dedicato uno studio famoso all'interpretazione psicoanalitica delle fiabe: Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (1976, trad. it. Milano, Feltrinelli, 1977). Cerco brevemente di chiarire alcuni aspetti.
Innanzitutto, la fiaba, come ogni racconto fantastico, non può essere ridotta ad una sola interpretazione: la polisemia, che caratterizza ogni opera d'arte, richiede il riconoscimento di molteplici chiavi di lettura, anche contrastanti.
Ovviamente il punto di partenza per la comprensione delle fiabe è il limite del razionalismo e la consapevolezza che esiste un inconscio che per noi umani è difficile riconoscere, ma che abbiamo il dovere di portare alla luce. Scrive Emma: "Mentre il razionalismo scientifico ha per lungo tempo trascurato il significato di queste esperienze [ossia dell'inconscio, espresso da miti, fiabe, sogni, fantasticherie], identificando la totalità della psiche con l'Io cosciente, la psicologia medica moderna è di recente pervenuta a concezioni sorprendentemente simili alle antiche credenze di cui si è detto" (p.34). "Le ricerche della psicologia del profondo hanno mostrato che le forme prodotte dalla spontanea attività mitopoietica della psiche non vanno concepite soltanto come semplici riproduzioni o trascrizioni di eventi esteriori, ma come espressione di stati psichici interiori (p.73).
Le varie figure della madre e del padre, delle fate e delle streghe, eccetera, sono archetipi in quanto diffuse ovunque, in ogni epoca ed in ogni cultura umana.
L'archetipo della donna, in particolare, contiene elementi vari e contrastanti: ecco perché nelle fiabe troviamo fate buone e streghe cattive, così come per l'archetipo maschile troviamo maghi buoni e orchi orrendi. Nella nostra fiaba, troviamo la Matrigna/Strega contro Biancaneve. La Cortellesi ironizza sulla immagine negativa della donna rappresentata dalla Matrigna/Strega, ma essa esiste nella realtà! Ne ho incontrate anche io nel corso della mia vita (accanto a fate buone, maghi benigni e orchi orrendi, beninteso). Negarne l'esistenza significa nuovamente falsare la realtà, cioè fare una operazione analoga a quella che si vuole contrastare.
A scanso di equivoci, ricordo che anche ad Emma Jung, ovviamente, sta a cuore combattere il pregiudizio di una presunta inferiorità femminile (p.54).
Uno degli aspetti fondamentali che Carl ed Emma hanno individuato sta nei concetti di
Animus e Anima, ossia nella presenza inconscia di una componente maschile nella psiche della donna e di una componente femminile nella psiche dell'uomo. Il problema è diventarne consapevoli, perché se tali componenti restano del tutto inconsce provocano veri e propri disastri, mentre assumerne consapevolezza porta ad acquisire risorse importanti per la propria maturazione psicologica, ciò che Jung chiama
individuazione.Animus e Anima hanno, entrambi, caratteristiche opposte e quindi ambivalenti. Il bene e il male convivono in ogni persona, come del resto già sapeva Lutero quando esprimeva il suo celebre motto: Simul peccator et justus. La Jung scrive: "A seconda dei casi, essa [l'Anima] può comparire con caratteristiche opposte, come creatura luminosa o oscura, soccorrevole o distruttiva, nobile o ignobile" (p.58; e cfr. p.91).
L'Autrice tratta anche dello specchio magico, come luogo tipico della narrazione archetipica, perché sollecita il rispecchiamento e quindi l'esplorazione di sé (p.92).
Anche i personaggi maschili, come quelli femminili, possono avere caratterizzazioni di bontà o di cattiveria e ricordiamo che le qualità morali, inevitabilmente mischiate nelle persone reali, sono estremizzate nel racconto fantastico proprio per assumere una immediata efficacia sull'inconscio del lettore. La Cortellesi ironizza sul maschio che salva la femmina, a cominciare dal cacciatore che dovrebbe ucciderla, ma ne ha compassione: "perché è bella", dice la Cortellesi, forzando evidentemente la narrazione per fini ideologici. No, il cacciatore non la salva perché è bella, ma perché la sua Anima (ossia la sua componente femminile) ha capito che sta per compiere un gesto orrendo e disumano. Emma lo spiega bene: "
L'Anima rappresenta la componente femminile della personalità dell'uomo ... in altre parole, essa rappresenta l'archetipo del femminile" (p.73; e cfr. p.84).
Al tempo stesso, Biancaneve svolge una analoga funzione di guida, e dunque salvifica, nei confronti dei nani: in questo caso, dunque, è il suo
Animus che la spinge a fare da "maestrina" ai nani, ad esempio istruendoli sulla necessità di lavarsi; e forse non è un caso che, mentre la Cortellesi ironizza sul fatto che lei sarebbe la "colf" dei nani, trascura completamente questo dettaglio, la funzione educativa di Biancaneve sui nani, benché esso abbia ispirato a Disney una delle scene più belle (e, guarda caso, meno citate) del suo film.
Dunque, la funzione salvifica può essere esercitata indifferentemente dall'Animus di una donna, come dall'Anima di un uomo: e allora non scandalizziamoci, se è un "Principe Azzurro" a far "risorgere" Biancaneve, così come fa Mignolina, una donna, con la rondine, nella celebre fiaba di Andersen. Il Principe, come Mignolina, è metafora dell'amore che salva, che può essere rappresentato da un uomo o da una donna. Comunque, proprio nella scena del risveglio di Biancaneve c'è una importante differenza nel racconto dei Grimm, rispetto al film di Disney: non il bacio del Principe, bensì l'espulsione della mela avvelenata dal corpo della ragazza, determinata da uno scossone nel trasporto della bara, ne provoca il risveglio.
Nel racconto poi sono importanti gli animali, creature della natura, che la Cortellesi trascura, sempre per lo stesso motivo, ossia perché la sua lettura è ideologica, parte cioè da un pre-giudizio. Gli animali sono le voci della natura, prevalentemente benefiche, che aiutano la protagonista e la accompagnano nella difficoltà. Molto importante, in questo senso, la presenza di tre uccelli simbolici nella fiaba dei Grimm (non ricordo se siano presenti anche in Disney), venuti a piangere la sua morte: un gufo, un corvo e una colomba, che, secondo il Bettelheim (p.205) sono simboli rispettivamente della saggezza, della consapevolezza matura e dell'amore.
Ho usato volutamente la parola "risveglio", nel finale della fiaba, perché mi sembra esprima bene il suo senso profondo: la storia di Biancaneve è una storia di crescita psicologica, di maturazione che passa attraverso varie prove e, inevitabilmente, alcuni errori. In questo ci è molto utile la lettura di Bruno Bettelheim, che parte da un approccio un po' differente rispetto agli Jung perché, credo, è più legato al modello freudiano.
Innanzitutto l'Autore sottolinea il significato dello specchio come strumento del narcisismo (p.195): noi sappiamo bene che il "genitore narcisista" può essere il papà, ma anche la mamma, e in ogni caso produce disastri sui figli ... Il cacciatore è visto da Bettelheim come rappresentante della figura del padre, ma debole (pp.197-8). Deboli appaiono anche i nani, metafora di una umanità non adulta, relegata in una esistenza preedipica (pp.200 e 202), benché dedita al lavoro con impegno (p.201).
La storia di Biancaneve è vista da Bettelheim come il racconto metaforico di una maturazione progressiva, dall'infanzia alla maturità, che nell'adolescenza trova i suoi momenti di maggiore travaglio critico, comprendente anche errori e cadute: ecco perché la protagonista cade nelle trappole tese dalla Matrigna/Strega. .Dunque, un percorso di crescita, con una conclusione felice, come è terapeutico che sia in una fiaba (altrimenti perderebbe la sua funzione), mentre per la Cortellesi Biancaneve rimane una bambina bisognosa di essere salvata dal maschio: ma, appunto, questa è una lettura razionalista, che rimane legata alla narrazione come se fosse un racconto realistico, cosa che una fiaba assolutamente non è.
Ovvio che poi ogni racconto possa essere interpretato e quindi trasmesso con funzione ideologica: e quindi ha ragione la Cortellesi se immaginiamo che tantissimi genitori abbiano raccontato Biancaneve come se fosse la storia di una bambina ingenua salvata dal prode maschio. Tuttavia, questo non è il messaggio profondo di questa fiaba.
Concludo con le parole di Emma Jung: "In un'epoca in cui le forze separatrici sono così minacciose e dividono tutto, i popoli, gli individui e gli atomi, è doppiamente necessario che anche le forze unificatrici, quelle che tengono le cose insieme, siano efficaci. La vita si basa sull'armonico accordo del principio maschile con quello femminile, anche all'interno della singola persona; ecco perché la congiunzione di questi opposti rappresenta uno dei compiti più importanti della psicoterapia contemporanea" (p.115). Parole che dovrebbero stare a cuore a chiunque intenda combattere la piaga del sessismo.
Dunque, se ancora oggi, purtroppo, la nostra società è tormentata dal problema della violenza contro le donne, la colpa non è di Biancaneve.