domenica 11 dicembre 2022

Anoressia e fede cristiana

 L'anoressia è uno dei fenomeni ricorrenti in questa nostra società tormentata. Le cause di questo disturbo sono molteplici e non è possibile ridurle a poche formule di comodo; occorre un approfondimento che sia in grado di scandagliarne la complessità, sotto molteplici aspetti: sociali, psicologici ed anche spirituali.

Anoressia
Clara Brunello, Viva di nuovo

E' ciò che riesce a fare molto bene un libro che mi è capitato di leggere in questi giorni: "Viva di nuovo. Come sono guarita dall'anoressia" di Clara Brunello (Milano, Paoline, 2012). L'autrice "è una giovane donna del Nord Italia, che svolge una attività artistica a livello internazionale e ha scritto diversi libri. Avendo anche lei dolorosamente attraversato e poi positivamente superato l'esperienza dell'anoressia attorno ai venticinque anni, cerca da allora di offrire una speranza e una testimonianza a persone che sperimentano la stessa sofferenza", come si legge nel risvolto di copertina.

Ed effettivamente il valore del libro sta nel fatto di non essere un testo teorico, bensì la testimonianza viva e drammatica, drammaticamente sincera, di un vissuto che l'Autrice ha attraversato con la propria personale sofferenza. Il dono che ella ci fa è duplice: da un lato una autoanalisi molto approfondita e sensibile, dall'altro una apertura verso la dimensione spirituale, che si traduce in una relazione positiva con Dio, mediante la preghiera, la meditazione della Parola biblica e l'esercizio di pratiche liturgiche efficaci.

Bellissimo libro, dunque, di cui consiglio la lettura sia a chi attraversa questa difficoltà, sia a chi desidera essere d'aiuto nei confronti delle persone sofferenti. Aggiungerò in coda una osservazione critica, che certamente non intende sminuire il valore del testo, ma piuttosto evidenziare un problema culturale importante nella riflessione teologica contemporanea.

Due sono i grandi valori di questo libro. Il primo è la capacità acuta e sensibile di analisi e di autoanalisi. Vengono analizzate le situazioni esistenziali che caratterizzano la persona, che sono molteplici e non riconducibili ad un'unica causa. Vi è evidenziata la frenesia di una attività di lavoro e di studio che diventa ossessiva, e si complica con l'importanza eccessiva data al bisogno di successo, di fama, di celebrità, l'ansia di prestazione e la competitività, con conseguenze negative anche nelle relazioni umane, "inquinate" dalla condizione di concorrenza. Quindi, un senso di superiorità e di orgoglio; ma, accanto a questo, il suo aspetto opposto, solo apparentemente contradditorio, ossia la svalutazione di sé, il complesso di inferiorità, l'insicurezza, il senso di colpa, l'eccesso di autocontrollo e il perfezionismo, che coinvolgono l'aspetto fisico (di cui l'Autrice tenta di sminuire l'importanza, ma che ritorna come un letimotiv incessante nel testo), le relazioni amicali e quelle affettive. E, al tempo stesso, anche una virtù come la "bontà" viene riconosciuta nel suo lato ambiguo, ad esempio come repressione della rabbia, che può avere effetti negativi sulla persona. Emerge anche, tra le righe, una difficoltà di relazione con l'altro sesso: "io vivevo anche la relazione con i ragazzi su un piano di competizione. Mi sentivo una "perdente" nei confronti delle mie coetanee, che mi apparivano tutte assai più belle e più in forma di me e, soprattutto, capaci di attirare l'attenzione dei ragazzi molto più di quanto accadeva a me" (p.14). In conclusione, vi è descritta una forte ambivalenza nei confronti della propria condizione, tra desiderio di guarigione e resistenze forti. La malattia viene quasi personificata con le fattezze di un mostro diabolico che ci possiede.

Un aspetto inquietante, che l'Autrice denuncia in modo esplicito, è l'inadeguatezza di molti tra i cosiddetti "esperti": gli operatori che magari si presentano come specialisti di questi disturbi, ma poi cadono in affermazioni inaccettabili, in comunicazioni inefficaci ed anche in pratiche terapeutiche del tutto inadeguate e spesso nocive, come il caso limite, paradossale, della somministrazione di ben diciotto psicofarmaci nell'arco di una giornata!

Il secondo grande valore di questo libro sta nella prospettiva spirituale in cui si colloca, a partire dalla constatazione che corpo, psiche ed anima sono un'unità inscindibile nella complessità della persona umana. Troviamo perciò bellissime pagine che, a partire dalla proposta di domande sincere da porre alla propria coscienza, suggeriscono la pratica di simboli terapeutici (possono essere oggetti, luoghi, atteggiamenti interiori) e vere e proprie "liturgie terapeutiche", alle quali dedica un paragrafo veramente efficace (pp. 94-103). Si riconosce il valore della fragilità come dono, la presenza di una paura esistenziale che la fede può lenire (come insegna la bellissima citazione del pastore Martin Luther King: "La paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire. Non c'era nessuno"), le contraddizioni, le ambivalenze e dunque i limiti della volontà razionale. L'ultimo capitolo e la coda sono una bellissima e confortante dichiarazione di fede nel Dio della Grazia, che non ci giudica ma resta a noi vicino, ci accompagna nella sofferenza e non ci abbandona.

Drewermann
Drewermann, Psicanalisi e teologia morale

Come ho scritto sopra, il libro, bellissimo e straordinariamente efficace nella sua testimonianza, evidenzia anche, tuttavia, un limite culturale che è tipico della riflessione cristiana contemporanea, sia essa cattolica, ortodossa o protestante: il rifiuto della psicoanalisi in ambito cristiano. Mi pare che ancora oggi la stragrande maggioranza dei teologi cristiani (ripeto: di OGNI confessione) mantengano un atteggiamento di critica, di sospetto o anche solo di indifferenza nei confronti di questa grande disciplina scientifica, che pure ha aperto prospettive illuminanti di comprensione dei comportamenti umani, ed anche (si pensi al caso di Jung) con uno sguardo che non smentisce affatto la dimensione spirituale e trascendente dell'approccio personale. I teologi cristiani sono tuttora ostili, o nel migliore dei casi indifferenti, di fronte alle acquisizioni fondamentali della psicoanalisi: se affrontano sistematicamente il problema e accolgono le scoperte scientifiche dei grandi studiosi, vengono dileggiati e anche perseguitati dalle loro stesse chiese, come è accaduto ad Eugen Drewermann, che pure era stato capace di uno straordinario approfondimento della tematiche psicoanalitiche in chiave cristiana (ad esempio nel testo "Psicanalisi e teologia morale"), ma che è stato vittima di una ostilità feroce da parte di suoi colleghi anche molto famosi, tuttavia ligi ad una ortodossia ottusa e cieca. Le cose mi pare non vadano meglio in ambito protestante. 

Anche in questo bellissimo libro di Clara Brunello i temi della psicoanalisi (ad esempio la relazione con i propri familiari, ed in particolare il rapporto ambivalente con la madre) sono toccati, descritti e quasi del tutto capiti, ma poi sembra che l'Autrice si fermi sulla soglia e non riesca ad arrivare alle conseguenze più importanti della sua pur acutissima analisi. Dopo aver analizzato con straordinaria sensibilità le emozioni più profonde, sembra quasi fermarsi ad un approccio comportamentista, più congeniale al razionalismo dell'etica teologica tuttora prevalente.

Ed è un vero peccato, perché in questo modo non si riesce a capire come l'anoressia sia un sintomo di disturbi profondi, tragicamente sommersi nell'oscurità dell'inconscio e che perciò sarebbe necessario riportare in superficie, come la psicoanalisi ha saputo insegnare. Altrimenti si rischia di restare imprigionati o in una recrudescenza dello stesso disturbo, o nel suo riapparire in altre forme, anche con sintomi nuovi ed inaspettati: cosa che è emersa in modo tragicamente evidente in occasione delle recenti vicende sanitarie, con questi fenomeni nuovi di paura, diffidenza, ostilità (ed anche violenza), riassunti nell'inquietante parola "distanziamento", che, dall'ambito sanitario (necessario, ma che avrebbe dovuto essere ad esso circoscritto), si è subito estesa a quello sociale (come esplicitato anche nell'informazione pubblica) e da questo all'ambito affettivo profondo, con conseguenze devastanti per l'equilibrio psicologico delle persone. 

Eppure l'Autrice stessa ricorda (p.69) che l'Apostolo Paolo aveva in qualche modo intuito un aspetto fondamentale del comportamento umano, che la psicoanalisi ha poi studiato con approccio scientifico; infatti, nel capitolo 7 dell'Epistola ai Romani, egli scrive: "non faccio quello che voglio, ma quello che detesto ... non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio". Un vero peccato che la teologia cristiana abbia interpretato queste parole in senso limitatamente moralista (ossia razionalista), anziché coglierne l'intuizione profonda, la capacità di descrizione non superficiale della complessità dell'animo umano.

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